Alluvione . Scuole chiuse e evacuazioni. I cittadini in assemblea nella sala occupata del comune
C’era allarme per una nuova alluvione, a Carrara, dopo lo choc di mercoledì scorso, la terza grande alluvione in 11 anni. Scuole chiuse per l’allerta meteo, paura diffusa, ordine di evacuazione in alcune zone di Marina di Carrara per chi abita al primo piano e negli interrati, centro di accoglienza predisposto alla Fiera Marmi Macchine. Per fortuna stavolta non si è ripetuto il peggio, il torrente Carrione non ha esondato di nuovo. Ma la rabbia sollevata dall’inondazione non si è esaurita. Da sabato scorso molti cittadini di Carrara hanno occupato la sala di rappresentanza del Comune, decisi a non smobilitare finché il sindaco Zubbani, socialista, e la sua giunta di centrosinistra, non si prenderanno la proprie responsabilità. E la sola forma possibile di riconoscere quelle responsabilità sono le dimissioni.
Di fronte a duemila persone che gridavano la propria rabbia, sabato il sindaco ha saputo dire solo che lui e la sua giunta non si sentono responsabili per l’alluvione. Perché la costruzione dell’argine crollato, e la sua manutenzione, spettavano alla Provincia, alla quale il Comune aveva segnalato i problemi dell’argine. Ma questa posizione pilatesca è suonata come una beffa a chi non ne può più di un territorio devastato da molti, troppi punti di vista (senza considerare che non solo secondo il buon senso ma anche secondo la legge il sindaco è tenuto a intervenire in caso di emergenze per preservare l’integrità del territorio).
Per ricostruirlo, questo territorio, e prendersi cura del bene comune, si è costituita così un’Assemblea Permanente — nome che richiama, magari inavvertitamente, quello di una delle più importanti forme di mobilitazione popolare della terra apuana negli scorsi decenni, quell’Assemblea Permanente dei cittadini contro la Farmoplant e il polo chimico, che negli anni ottanta evidenziò in maniera drammatica il conflitto tra ambiente e lavoro — ma più precisamente: tra ambiente e capitale. Ora, questo conflitto torna in maniera virulenta, perché ormai è chiaro a tutti che parlare di straordinari eventi atmosferici è solo un modo per occultare le questioni strutturali. A partire dalla devastazione che gli industriali del marmo hanno fatto del territorio: solo pochi giorni fa, il geologo Chessa ha ricordato ancora una volta in un convegno come come questi disastri fossero evitabili, e come lo stesso argine era inutile senza contestuali rilocalizzazioni delle segherie e ripristino delle aree di esondazione: invece un’ansa del fiume è stata trasformata in piazzale di una segheria, e sono state pure previste nuove costruzioni. E, cosa ancora più importante, ha ricordato come siano i detriti dell’estrazione del marmo a intasare il torrente. Ma gli interessi dei padroni del marmo non si toccano.
Ecco, di queste tematiche che per lungo tempo da queste parti sono state patrimonio solo degli ambientalisti, pare che la presa di coscienza tra la cittadinanza sia, finalmente, sempre più diffusa: l’intervento del rappresentante di Salviamo le Apuane, che ricorda come gli ambientalisti da anni affermano che la devastazione delle montagne è responsabile degli eventi, e propone di organizzare insieme un incontro su questi temi nella sala del Comune, viene accolto da un lungo applauso. L’assemblea, allora, si propone di andare a esaminare tutte le varie «criticità», come dice qualcuno, del territorio. Un gruppo lavora a un dossier che affermi le numerose irregolarità nella gestione del territorio, evidenziandone le responsabilità politiche. E si chiede la messa in opera di un piano di sicurezza del territorio. Agli industriali del marmo viene chiesto un contributo speciale, in quanto si arricchiscono «col nostro marmo». E qui, un altro lungo applauso: la questione del marmo come bene comune comincia a diventare coscienza diffusa.
Nell’assemblea è palpabile un’allergia alla «politica», dove il termine politica è associato immediatamente alla «partitocrazia» delle istituzioni. I partiti e i gruppi politici, qui, non sono ammessi. Ma, poiché dall’assemblea non si esigono trattati di filosofia politica, resta il fatto che qui, nella sala occupata del Comune, si sta provando finalmente a fare della buona politica, prendendosi cura del bene comune invece che dei vari gruppi d’interesse e potentati economici che hanno spadroneggiato per troppo tempo. E che qui ci si occupa del bene comune è chiaro a tutti, non essendosi mai vista nella sala del Comune così tanta gente alle assemblee. Tanto è vero che un portavoce dell’assemblea, applaudito da tutti, parla di questa esperienza come scintilla per altre realtà. E, a chi ha a cuore le continuità storiche, non possono non venire alla mente le speranze dei moti anarchici del 1894, di essere una «scintilla» che da Carrara avrebbe innescato un processo rivoluzionario in tutto il paese.
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