Associazione Ambientalista a carattere volontario ed apartitica, che si configura quale associazione di fatto. Essa non ha alcuna finalità di lucro. L’area di svolgimento delle attività dell’Associazione è delimitata ai comuni della Valdisieve.
EVENTI 2
LABORATORIO RIUSO E RIPARAZIONE A LONDA
Le attività e aperture del Laboratorio di Riparazione e Riuso di Londa
Le risorse del pianeta non sono infinite, eppure le sfruttiamo ben più di quanto riescano a rigenerarsi: l'Earth Overshoot Day segna la data in cui la nostra impronta ecologica supera la biocapacità degli ambienti naturali.
ATTUALITÀ – Ci siamo già: oggi abbiamo consumato tutte le risorse che la Terra può rinnovare in un anno. L’Earth Overshoot Day è esattamente questo, la data calcolata dagli scienziati nella quale l’impronta ecologica dell’uomo supera la biocapacità degli ecosistemi; la data dalla quale non faremo che sovrasfruttare con il nostro Pianeta, accumulando un debito ecologico che non sarà per nulla semplice da ripagare. E una data che ha continuato ad anticiparsi dagli anni Settanta, quando abbiamo cominciato a calcolarla, a oggi.
Come si calcola?
L’Earth Overshoot Day è calcolato dal Global Footprint Network, un’organizzazione internazionale di ricerca che ogni anno aggiorna i dati e le metodologie per la valutazione. Per capire quanto la nostra specie pesi sulle risorse del Pianeta, il parametro usato è l’impronta ecologica, o ecological footprint, definita come l’area necessaria per fornire a ciascuno ciò di cui ha bisogno: il cibo, incluse le risorse ittiche, il legname e il cotone per il vestiario, lo spazio per la costruzione di strade e case, l’area forestale necessaria ad assorbire le emissioni di anidride carbonica…
Il confronto è, ovviamente, con quanto la Terra è dal canto suo in grado di offrire, un parametro indicato come “biocapacità” che indica la produzione mondiale annua di quegli stessi elementi o sistemi presi in considerazione per il calcolo dell’impronta ecologica.
Se quest’ultima supera la biocapacità, significa che stiamo superando le capacità produttive annuali prese in considerazione. “In parole povere, significa che non aspettiamo la fine dei 365 giorni per cominciare a sfruttare ciò che il pianeta non può rimpiazzare”, spiega a OggiScienzaGianfranco Bologna, direttore scientifico e Senior Advisor del WWF Italia.
“Il metodo dell’impronta ecologica è uno dei tanti che si tenta di usare per dare un’indicazione di quanto pesiamo sui sistemi naturali. Rappresenta una stima e scientificamente è stato molto dibattuto, perché è difficile riuscire a tenere conto di tutti i nostri interventi sul Pianeta: qualsiasi metodo che sia adottato per calcolarlo, la stima sarà inevitabilmente per difetto. E già così, permette di comprendere con immediatezza come, pur prendendo in considerazione solo alcuni elementi della pressione umana sulle risorse naturali, ne sottraiamo un quantitativo superiore, nell’arco dell’anno, di quelle che la natura stessa produce nello stesso periodo di tempo”.
Crediti immagine: Pixabay
E la differenza non è da poco. Al momento, infatti, il Global Footprint Network stima che stiamo consumando l’equivalente di 1,7 Terre. E per quanto riguarda l’Italia, se tutti vivessero come noi, il consumo salirebbe a 2,6 Terre e l’Earth Overshoot Day sarebbe addirittura il 24 maggio. Questo ci dice anche qualcos’altro di già noto, ma che vale sempre la pena ricordare: ci sono Paesi che consumano a scapito di altri.
Come possiamo invertire il trend?
La domanda che sorge spontanea è: come possiamo cominciare a ripagare questo debito? Il Global Footprint Network individua quattro principali campi d’azione su cui agire con scelte individuali e politiche, raccolte nella sfida “#MoveThe Date”. Uno riguarda l’alimentazione, che compone il 26 per cento del peso della nostra impronta ecologica. L’allevamento degli animali, oltre a produrre inquinamento, consuma enormi quantità di acqua e suolo: se riducessimo alla metà il consumo di carne, l’Earth Overshoot Day potrebbe spostarsi avanti di cinque giorni, e di altri 11 se dimezzassimo gli sprechi alimentari (durante la produzione e il trasporto, non solo a livello di consumatore).
Un’altra sfida è sulle città, perché ci si aspetta che una cifra compresa tra il 70 e l’80 per cento delle popolazioni vivrà in aree urbane entro il 2050. Abbiamo bisogno di smart cities con edifici compatti ed efficienti dal punto di vista energetico, e ovviamente un sistema di trasporti sostenibile. Questi stessi punti sono infatti nell’Agenda 2030 Per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.
Campo d’azione fondamentale è poi il consumo energetico. La carbon footprint, usata per stimare le emissioni di gas serra delle nostre attività, rappresenta il 60 per cento dell’impronta ecologica, e tagliare le emissioni potrebbe permetterci di ritardare l’Earth Overshoot Day di oltre tre mesi.
Infine, la popolazione. “Nessuno ha un’idea esatta di quanti esseri umani ci fossero sulla Terra 11 milioni di anni fa, quando abbiamo scoperto l’agricoltura, ma le stime indicano una cifra intorno agli 8 milioni. All’inizio dell’Ottocento la popolazione ha raggiunto il primo miliardo, il Novecento è iniziato con 1 miliardo e 600 milioni di abitanti e si è chiuso con la cifra inversa, 6 miliardi e 100 milioni di persone”, racconta Bologna. “Oggi siamo oltre 7 miliardi e mezzo e nel 2050, secondo le Nazioni Unite, saremmo ben oltre i 9 miliardi”.
È inevitabile che una popolazione così grande richieda enormi risorse naturali, per cui il controllo della crescita demografica è un punto che non può essere evitato. E che, spiega il Global Footprint Network, passa necessariamente attraverso una maggior emancipazione femminile: “L’educazione delle bambine e una pianificazione familiare sicura, conveniente ed efficace rappresentano opportunità importanti. In più, una maggior emancipazione femminile è fondamentale per la sostenibilità. Quando le donne sono trattate con equità a casa, nel lavoro e nella comunità, ne deriva un miglior livello sociale per le loro famiglie, comprese educazione e salute, un minor tasso di riproduzione”.
La pagina #MoveTheDate indica anche una serie di altri consigli che coinvolgono i singoli cittadini, tra cui le scelte consapevoli di vestiario e di viaggi che, come vi abbiamo raccontato qualche giorno fa, lasciano una grossa impronta sull’ecologia.
Insomma, scelte individuali e politiche. “Le azioni personali sono fondamentali, soprattutto a livello educativo, ma per cambiare le cose non si può prescindere da sistemi economici, sociali e politici che vadano nella direzione della sostenibilità, ossia imparare a vivere nei limiti di un solo pianeta”, commenta Bologna. Soprattutto oggi, che abbiamo una tecnologia che ci può aiutare nel percorso, e anche molti esperti indicano come fondamentale entrare nell’ottica di un’economia circolare.
“Tutto questo non è un sogno; abbiamo mezzi e conoscenze che prima ci mancavano e che ci permettono di procedere verso la transizione. Certo non si fa in un battibaleno: sono impegni, che coinvolgono le persone anche dal punto di vista delle scelte”, aggiunge lo scienziato. “Il debito economico è un’invenzione umana, con regole umane che possiamo scegliere di cambiare. Le regole del debito ecologico, invece, non le cambia nessuno”, conclude Bologna.
Con la scusa di incentivare la produzione di energia verde questo “Nuovo Testo” mina concretamente il futuro dei boschi italiani. Sono gravi i timori espressi dalla comunità scientifica, ma non solo.
Enfatizzando la “filiera bosco-territorio” di fatto intende piegare la gestione forestale alla produzione energetica, e così, dopo qualche decennio di tutela e uso parsimonioso, i boschi d’Italia torneranno a perdere nuovamente terreno a favore di aree che inevitabilmente verranno di nuovo coltivate intensivamente, anche in terreni assolutamente marginali per l’agricoltura, o trasformate.
bosco in passato governato a ceduo
Ciò attraverso una nuova definizione di bosco, una definizione che nega le necessarie tutele non solo ai boschi intesi quali ecosistemi complessi ma anche dal punto di vista paesaggistico. Esperienze ultradecennali di studi ecologici e forestali, con l’elaborazione di milioni di dati, modelli e protocolli operativi di gestione conservativa per le aree forestali naturali del nostro Paese rischiano di cadere nel nulla per far posto ad un unico dogma, quello dell’utilizzazione spinta.
Boschi solo perché non gestiti da pochi anni non saranno più tutelati in quanto ritenuti incolti restando di fatto esclusi dalla definizione di bosco come ad esempio potrebbe accadere per diverse foreste vetuste, alcune, fortunatamente, già riconosciute dall’Unesco patrimonio dell’Umanità e che, vista la situazione ecologica ed ambientale legata al riscaldamento globale (global warming), costituiscono veri e propri relitti di fondamentale importanza ecologica in tutto il Mediterraneo.
Desulo, Gennargentu, foresta di Girgini
In Sardegna per esempio, boschi di leccio e di roverella, con piante alte anche 30 metri, ancora abbarbicate lungo i diversi versanti del Gennargentu, con caratteri di vetustà all’interno di strutture a mosaico ove a gruppi sempre più ridotti di alberi si associano ormai solo queste singole grandi piante relitte, se non assolutamente protetti saranno a breve destinati a scomparire per sempre.
La compensazione generalizzata ovvero il reimpianto in luogo della trasformazione di un bosco anche se non evoluto, solo perché indennizzata e dunque teoricamente possibile in altra località, non avendo ben chiari i difficili meccanismi di evoluzione naturale e di lenta successione ecologica del soprassuolo forestale, sarà causa concreta di distruzione ben occultata dall’intervento pubblico proprio ove la gestione forestale pubblica dovrebbe viceversa puntare, soprattutto attraverso il governo ad alto fusto, soprassuolo boschivo a più elevata funzionalità biologica, più facilmente difendibile dagli incendi e più valido anche sotto il profilo turistico-ricreativo e paesaggistico, a evitare i gravi fenomeni di degrado ed erosione dei suoli.
Foresta demaniale di Bocca Serriola, riconversione a ceduo di bosco ad alto fusto
In pratica è nella comunità biologica associata al bosco ad alto fusto che si identifica il concetto stesso di equilibrio o di omeostasi (Odum, 1973), quello cioè di uno stadio di sviluppo nel quale l’ecosistema raggiunge la massima maturità e acquisisce la capacità di autoregolarsi, e sul quale sono basate la maggior parte delle attuali moderne ipotesi di gestione conservativa della natura al netto dei disturbi capaci di stravolgere questo equilibrio. A proposito di questi ultimi prevedere di eliminare definitivamente i più temibili ovvero gli incendi non sembra ancora possibile ma almeno ridurre le “possibilità” di combustione proprio attraverso l’estensione del bosco d’alto fusto può e deve essere una strada percorribile.
Monte Nerone, inadeguatezza del bosco ceduo sulle vette per la protezione del suolo
Anche la conservazione del paesaggio, pur nella sua variabilità, ambientale e strutturale, deve necessariamente basarsi sul riappropriarsi di assetti colturali che hanno caratterizzato l’uso del territorio nel corso della sua storia ben prima della massiccia utililizzazione a scopo produttivo dei boschi (il caso Sardegna dal 1800 in poi è emblematico).
E il paesaggio della fustaia è concreto esempio di gestione sostenibile da proiettare oggi soprattutto nell’ottica di un’utilizzazione turistica impostata su basi ecologiche.
A questo proposito occorre ricordare che il governo a ceduo (Cappelli, 1991) può “convenire solo in regioni ad alta densità demografica con mano d’opera a basso costo”: in Italia è questa la situazione?
foresta mediterranea
D’altra parte il ceduo non è certo la forma di governo migliore per contribuire ad attutire gli effetti dei cambiamenti climatici, non favorendo la fissazione del carbonio e la diversità genetica (la rinnovazione agamica favorisce le specie ad alta facoltà pollonifera riducendo di conseguenza la biodiversità a livello di ecosistema e di specie così importanti anche nella lotta ai cambiamenti climatici) e non contribuendo a mantenere e accrescere le funzioni di protezione del suolo dall’erosione e dunque, conseguentemente, di protezione e regimazione delle risorse idriche, nonché di protezione da altri fenomeni quali frane o alluvioni (purtroppo quanto mai attuali in Italia).
frana causata da tagli boschivi
Il confronto tra valore economico degli assortimenti legnosi ritraibili dagli interventi di ceduazione (legna da ardere e pellet) e il valore di tutte le funzioni non produttive, ma di primario interesse pubblico (servizi ambientali), rappresenta il corretto riferimento gestionale soprattutto per le proprietà pubbliche ove gli interessi delle comunità nel loro complesso sono e devono essere prevalenti. Se approvato il “Nuovo Testo”, attraverso un articolato sistema di autorizzazioni, renderà la trasformazione fatto comune purchè “non vi sia danno ambientale….”.
E così proprio i boschi pubblici, come nel “ventennio” fascista, torneranno nuovamente ad essere la “miniera verde” perchè più facilmente monetizzabile la trasformazione (valorizzazione socio-economica) nel settore pubblico.
Rio Vitoschio, taglio impattante su bosco invecchiato (oltre 30 anni) in area di grande pregio naturalistico
La possibilità di trasformare il bosco deve esser relegata a situazioni eccezionali ovvero solo se effettivamente rilevante l’interesse pubblico per la prevenzione dai dissesti e dagli incendi. Invece, di fatto, il risultato sarà l’ampliamento sconsiderato di interessi commerciali verso tutti i boschi.
L’assenza poi di coordinamento con il sistema delle aree naturali protette (SIC/ZPS Parchi Nazionali e Regionali), luoghi di elevatissima biodiversità e ricchezza ecologica nei quali i moduli gestionali dovrebbero esser primariamente finalizzati ad assicurare anche il pieno svolgimento di tutti i principali servizi ambientali destinati alla collettività (difesa idrogeologica, assorbimento di CO2, produzione di ossigeno, mitigazione climatica, ricreazione, turismo e paesaggio), porterà concretamente alla predazione della risorsa verde proprio in quei santuari solo perché ultimi serbatoi ancora colmi “di legna” da saccheggiare e vendere.
Invero sono gli ultimi habitat straordinari d’Italia con un’unica colpa quella cioè di essere divenuti alla mercè di chi vuole aprire a tutti i costi la strada della speculazione edilizia ed energetica.
Sardegna, bosco
Se la Direttiva Habitat (92/43/CE) previene i fenomeni di degrado di questi siti naturali o perturbazioni significative sulle specie, consentendo la conservazione degli stessi, gli stessi dettami della “Gestione Forestale Sostenibile”, intendendo per gestione forestale sostenibile la gestione esplicitamente e fortemente richiamata sia nella Strategia Forestale UE (1999/C/56/01), sia nel decreto legislativo n. 227/2001 di orientamento e modernizzazione del settore forestale nonchè nel Programma Quadro per il Settore Forestale Nazionale (PQSF, 2009), sono tesi a salvaguardare e migliorare la funzionalità complessiva del bosco prima che nei suoi aspetti economici (produzione, rinnovazione, infrastrutture connesse) in quelli ecologici (biodiversità, equilibrio fitosanitario, difesa dei suo!o, contributo ai ciclo del carbonio) e sociali (tutela dei lavoratori, paesaggio, fruizione pubblica della foresta).
Il “Nuovo Testo”? In concreto solo l’ennesimo e pesante attacco alla natura d’Italia! Da rispedire al mittente!
Da giovedì 13 agosto, quindi, manterremo il nostro debito ecologico prelevando stock di risorse ed accumulando anidride carbonica in atmosfera.
Vent'annifa l'Earth Overshoot Day, la data in un determinato anno in cui il nostro consumo di risorse naturali supera la capacità rigenerativa del pianeta, è stato il10 ottobre.
Il 6 luglio in discussione la
proposta della Commissione Ue, il voto dopo due giorni.
Ogni cittadino europeo consuma circa quattordici
tonnellate di materie prime e genera cinque tonnellate di
rifiuti l’anno. In un
mondo in cui le risorse stanno esaurendo, queste cifre appaiono allarmanti. Ma
una soluzione c’è. I materiali possono essere riutilizzati, riparati o
riciclati, riducendo così la quantità di rifiuti prodotti e soprattutto
riducendo l’impiego di materiali vergini. Il 6 luglio sarà il Parlamento
europeo a discutere della proposta della Commissione per il passaggio a
un’economia circolare.
Secondo la relatrice, la finlandese
Sirpa Pietikäinen del Partito popolare europeo, eletta nelle fila del Partito
di coalizione nazionale di centro-destra, «per invertire la tendenza, abbiamo
bisogno di un cambiamento di paradigma e un approccio sistemico che richiede
delle trasformazioni in ambito normativo, economico, sociale e educativo –
Insomma, una cambiamento della società nel suo complesso».
In un’economia circolare, il ciclo
di vita dei prodotti è esteso grazie a: Un eco-design che permette di riparare
e riutilizzare i prodotti più facilmente; Una maggiore durabilità; Una migliore
gestione dei rifiuti; Un nuovo modello di business basato sul leasing e la
condivisione (per esempio, una compagnia olandese affitta dei jeans per pochi
Euro al mese e quando ci si è annoiati li si può restituire).
Nel rapporto che sarà discusso lunedì 6 e poi
votato mercoledì 8 luglio, il Parlamento europeo chiede degli obiettivi
vincolanti per aumentare l’efficienza delle risorse del 30% entro il 2030
(rispetto alla situazione del 2014): secondo le stime della Commissione questa
misura potrebbe creare due milioni di posti di lavoro e far aumentare il PIL
dell’1%.