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lunedì 19 luglio 2021

I migliori segano i Parchi Nazionali

Articolo pubblicato sul blog Emergenza Cultura

di Vittorio Emiliani

Con una decisione clamorosa, il ministro dell’ambiente, Roberto Cingolani, ha deciso di tagliare – alla faccia della transizione ecologica (verso un futuro migliore) – i fondi, già scarsi, per i Parchi Nazionali. Quelli regionali spesso non si sa dove siano finiti, per non parlare di altre riserve. Tutto questo nel momento in cui i virologi si saldano ai naturalisti reclamando la creazione di vere e proprie “foreste urbane” al fine di ridurre le emissioni di CO2 e anche di virus epidemici che nell’inquinamento atmosferico, a quanto pare, ci sguazzano. Il governo Draghi e il ministro Cingolani, quest’ultimo espressione della Confindustria, vanno in senso contrario.

La storia dei Parchi Nazionali è stata a lungo decisamente travagliata in Italia. I primi due – Gran Paradiso e Abruzzo – li ha istituiti in extremis, prima del fascismo, Benedetto Croce, ministro del governo Facta, cresciuto in una famiglia materna, i Sipari, fortemente orientata da anni verso quell’obiettivo, insieme alla prima legislazione a difesa delle “bellezze naturali”. Col fascismo è stato istituito, malamente, il solo Parco Nazionale del Circeo, anche se il ministro dell’educazione, Giuseppe Bottai, ha poi migliorato la legge di tutela con la n. 1497 (legge sulla protezione delle bellezze naturali) i cui vincoli per fortuna sono tuttora in vigore assieme a quelli, i “galassini”, della legge Galasso sui piani paesaggistici del 1985, non attuata dalla maggior parte delle Regioni, a cominciare dalla più ricca di abusi edilizi, la Sicilia. Nel dopoguerra, una lunghissima latitanza dello Stato, al punto che si progettava addirittura una soppressione dei pochi Parchi Nazionali.

La ripresa, col ministro dell’agricoltura Giovanni Marcora e soprattutto coi movimenti ambientalisti, coi Verdi e coi partiti di centrosinistra, i quali, riescono a votare nei 1991 la legge-quadro sulle aree protette Ceruti-Cederna, la n. 394, la quale spianerà la strada, durante un governo di transizione, come quello presieduto da Lamberto Dini nel 1995-96, ministro, coraggioso, dell’Ambiente e delle Infrastrutture, l’economista Paolo Baratta, e con commissioni molto attive a nuovi, importanti Parchi Nazionali, una rivoluzione verde che prosegue negli anni successivi portandoci a oltre 20 Parchi Nazionale (con le preziose Cinque Terre o con la remota Val Grande), più le aree protette marine e quelle regionali (importanti, peraltro, come lo splendido Parco dell’Uccellina in Toscana). Che ci porta incredibilmente da un misero 1,5% di territorio protetto addirittura a un incredibile 13%.

Purtroppo la spinta si indebolisce e poi si esaurisce, ma soprattutto le aree protette non vengono mai strutturate né finanziate adeguatamente. Nel senso che ai primi presidenti e direttori di sicura caratura tecnica e politica, vengono alternati rappresentanti delle corporazioni, fino a nominare, per esempio, al bellissimo e storico Parco delle Foreste Casentinesi, fra Romagna e Toscana, con la formidabile “piantata” medicea, un esponente dei cacciatori. Mentre non riesce a creare l’indispensabile Parco Nazionale del Delta del Po, tuttora spaccato in due assurdi Parchi regionali, per gli interessi privati veneti sulla lottizzazione turistica dell’isola di Albarella e sulla lucrosa caccia in botte. E per quelli emiliani alle lottizzazioni dei Lidi ferraresi, stanca ripetizione delle spiagge romagnole, da Casal Borsetti a Cattolica. A parte la splendida e intatta lecceta estense del Bosco della Mesola. Non parliamo poi del Sud dove, per esempio, in Val d’Agri viene trovato il petrolio e dove il tessuto naturalistico presto si corrompe e si sfascia. O nel Parco Nazionale del Vesuvio, pensato per fermare l’assurda, rischiosissima speculazione edilizia su quelle pendici, è invece successo di tutto precludendo le vie di fuga in caso di eruzione dopo decenni di “sonno” del vulcano. Una regione tutta collina e montagna come le Marche ha deciso tempo fa di chiudere sostanzialmente parchi e riserve naturali, fra le altissime proteste di Italia Nostra. Wwf, Lipu, ecc. e c’è voluto un soprintendente coraggioso come Francesco Scoppola per arrischiare qui un vincolo generale come sulla piana dopo la devastata, da cavatori e cementieri, della zona prima di Gubbio.

E si potrebbe continuare. Ma ciò che preme dire è che, come spesso succede in Italia, creato un organismo valido di tutela, lo si abbandona a se stesso. O si tende a considerarlo come una sorta di luna park turistico-gastronomico. Igor Staglianò e Beppe Rovera, fino a quando hanno potuto gestire la bella e coraggiosa rubrica di Rai3, Ambiente Italia, hanno denunciato, assieme a direttori generali impegnati del ministero, l’abusivismo che ha invaso, per esempio, lo splendido ambiente e Parco Nazionale del Gargano o quello dei Monti Sibillini, i “monti azzurri ” di Giacomo Leopardi. Soppressa dalla Rai Ambiente Italia, è stata sostituita da rubriche deboli, come Bell’Italia diretta per anni da Fernando Ferrigno con piglio polemico e ora come liofilizzata, nonostante l’impegno di Marco Hagge.

Giorgio Boscagli, già energico e competente, direttore del Parco delle Foreste Casentinesi, denuncia puntualmente e coraggiosamente il grave scadimento della politica dei Parchi Nazionali ai quali ora si tagliano pure i già scarsi fondi. Dicendo loro di arrangiarsi e di fare coi mezzi che hanno o che si possono procurare incassando royalties dagli sfruttatori delle risorse naturali (allevatori, cacciatori, cavatori, ecc.). Una logica orrenda, anti-naturalistica, nel momento in cui in tutta Europa si parla di potenziare i parchi e di creare addirittura “foreste urbane” per combattere l’inquinamento da CO2 e la presenza di virus in quell’aria avvelenata (la più avvelenata d’Europa sta sopra la Val Padana, come le acque di falda, del resto, dove si è depositata sul fondo l’atrazina).

Giorgio Boscagli pubblica quasi ogni giorno un autentico “bollettino di guerra” sul suo blog, inviato a naturalisti, specialisti, appassionati, che localmente si battono. Per esempio contro lo “spezzatino” del Parco Nazionale dello Stelvio in varie parti, fra Province Autonome di Trento e Bolzano che magari ripristinano – incredibile a dirsi – la caccia alla marmotta non si sa per che farne. O la Regione Lazio che consente la caccia ai “confidenti” orsi marsicani (per i quali Boscagli propone una banca del seme essendo ridotti a una quarantina) nel caso sconfinino, ed è possibile, oltre i limiti dal Parco Nazionale d’Abruzzo e Lazio. Per non parlare dei lupi appenninici, seguiti con microchip, che dall’Alpe della Luna sull’appennino romagnolo i quali sono arrivati, lasciando piccole comunità per strada, sull’Appennino bolognese, poi ligure, infine in Francia dove erano stati sterminati stupidamente fra ‘800 e ‘900, e che sono innocui per l’uomo e antagonisti invece dei cinghiali purtroppo sempre più diffusi. Con seri problemi anche a Roma, dove il Parco di Veio “entra” in città, a Vigna Clara, anche per la presenza di rifiuti d’ogni sorta, e dove non mancano oggettivi pericoli.

Nel momento in cui ci vogliono più mezzi e strutture stabili per i Parchi Nazionali (quelli regionali sono stati degradati ampiamente dalle singole Regioni, tranne rari casi) che sono i nostri grandi “polmoni” e che, oltretutto, rendono soldi di per sé, il cosiddetto ministro dell’ambiente taglia loro le risorse per vivere e operare dignitosamente, utilmente, a vantaggio di collettività urbane sempre più minacciate o soffocate dallo smog e da altre forme di inquinamento. Siamo davvero alla follia, al contrario di una ragione moderna del vivere in comunità.

Articolo pubblicato sul blog Emergenza Cultura


ARTICOLO PUBBLICATO SU “IL FATTO QUOTIDIANO” IL 17 LUGLIO 2021. FOTOGRAFIA DI MATTÉ TEJA DA WIKIMEDIA COMMONS.

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