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mercoledì 23 gennaio 2013

Pcb da record nel sangue dei bresciani

Analisi choc dell'Asl e dell'Istituto superiore di sanità su 300 lavoratori delle aziende metallurgiche e 113 cittadini


Pcb da record nel sangue dei bresciani


Chi lavora in fonderia e ci vive vicino è più contaminato che nel resto d'Italia


Il sangue dei bresciani non è come quello degli altri italiani. Nelle
vene dei bresciani scorrono più diossine e pcb, usciti negli ultimi
decenni dai camini delle industrie metallurgiche e finiti sui campi e
quindi nei cibi. Chi lavora nelle acciaierie della città e
dell'hinterland, chi vive vicino alle aziende incriminate ha più veleni
in corpo di chi ha la fortuna di risiedere sui monti della Val Sabbia e
nell'alto Garda, sebbene anche queste persone abbiano dosi elevate di
pcb (ma non di diossine).
A stabilirlo è uno studio del servizio
prevenzione dell'Asl di Brescia e dell'Istituto superiore di Sanità
(pubblicato recentemente sul Giornale italiano Medicina del lavoro ).


Fotogramma/Bs

Contiene dati choc. Basta leggere le conclusioni: «La popolazione
di Brescia, anche non residente nelle aree inquinate dall'impresa
Caffaro, si caratterizza per concentrazioni nel siero di diossine e Pcb
superiori ai valori osservati nelle popolazioni italiane non esposte».
Non solo. Anche in chi vive lontano da fonti inquinanti (per l'esattezza
a Tignale e Bagolino) «le concentrazioni di diossine, furani e pcb sono
apparse più elevate di quelle osservate in alcuni gruppi di popolazione
generale italiana», compreso chi vive nella Campania delle discariche
tossiche e dell'allarme rifiuti. Nel dettaglio: gli abitanti di alto
Garda e dell'alta Val Sabbia hanno concentrazioni di diossine nella
norma rispetto alla media italiana, ma non è così per i pcb.
La
ricerca condotta dal dottor Pietro Gino Barbieri (Asl Brescia), da
Silvio Garattini (Iss) e da altri sei medici-ricercatori (Pizzoni,
Festa, Abbale, Marra, Iacovella, Ingelido, Valentini, De Felip) era
mirata a valutare l'esposizione cumulativa a policlorodibenzodiossine
(Pcdd), policlorodibenzofurani (Pcdf) e policlorobifenili (Pcb) in
lavoratori metallurgici e nella popolazione generale della provincia di
Brescia.


I ricercatori hanno analizzato il
sangue di 300 lavoratori metallurgici e di 20 impiegati negli uffici
amministravi. Identica procedura per 46 persone che vivono vicino alle
aziende che fondono rottami (ma che lavorano nel terziario) e per altre
47 che vivono a chilometri di distanza (per l'appunto Tignale e
Bagolino). I risultati? «Per i lavoratori metallurgici si osservano
livelli ematici di pcb più elevati di quelli osservati nella popolazione
non professionalmente esposta, sebbene in modo non statisticamente
significativo, fatta eccezione per alcuni congeneri - come i pcb 28, 52 e
101 - che risultano significativamente più abbondanti». In sostanza,
anche i residenti «vicini» alle aziende hanno «livelli ematici di
organoclorurati pressoché sovrapponibili a quelli rilevati nei
professionalmente esposti». Al contrario in chi risiede lontano dalle
fonti inquinanti «l'intervallo di valori osservati è più basso».
I
valori variano anche da azienda ad azienda e da reparto a reparto; chi
lavora in una fonderia di ghisa è meno esposto dei colleghi che lavorano
nella fonderia di alluminio o in acciaieria. E gli addetti alle aree di
fusione e manutenzione risultano «sovraesposti» rispetto a chi lavora
nelle aree di colata e parco rottame.



Va precisato che tutti i soggetti
analizzati hanno un'età media di 43 anni e nessuno di loro ha consumato
cibi contenenti grassi (dove si accumulano diossine e pcb) in quantità
significativamente maggiore rispetto agli altri. Ecco allora che
risultano più chiare le conclusioni dello studio: «la fusione dei
metalli da rottami contaminati con materiali plastici può contribuire al
rilascio in ambiente di composti organoclorurati
», diversi dei quali
sono cancerogeni (è il caso delle tetraclorodibenzodiossine). La stessa
Unione Europea, ricordano i medici, ha individuato nell'industria del
ferro e dell'acciaio una delle maggiori sorgenti di emissione di
diossine e furani in Europa. Brescia per decenni ha recuperato il 40%
del rottame metallico circolante in Italia, creando ricchezza, migliaia
di posti di lavoro e proporzionalmente una grande dose d'inquinamento,
visto che fino a pochi anni fa erano quasi inesistenti leggi e
tecnologie per l'abbattimento degli inquinanti.



Oggi non è più così. Basti
pensare all'autoregolamentazione che si sono date le 22 principali
aziende siderurgiche bresciane (riunite nel consorzio Ramet) che negli
ultimi 2 anni hanno speso milioni per diminuire dell'80 per cento le
emissioni di diossine (auto-imponendosi il limite di 0,1 nanogrammi per
metrocubo) e installando anche un monitoraggio in continuo per
facilitare i controlli degli enti. Ma i fumi usciti nei decenni passati
hanno lasciato il segno. Lo certifica il sangue dei bresciani.



Pietro Gorlani20 dicembre 2012 | 16:36


fonte articolo:
http://brescia.corriere.it/brescia/notizie/cronaca/12_dicembre_20/20121220BRE05_16-2113243148341.shtml


(NB: evidenziature di vivere in valdisieve)

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