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lunedì 30 novembre 2015

Danni da cinghiale, gestire la specie per contenerli significativamente

Le proposte di Legambiente presentate al Parlamento e al Governo
[9 ottobre 2015]
Cinghiale3
Mentre la molto strumentalizzata, “emergenza cinghiali” conquistava le cronache nazionali e locali, Legambiente, in occasione delle recenti consultazioni in Parlamento, ha consegnato al ministro delle politiche agricole e forestali Martina, a quello dell’ambiente Galletti e alla Commissione Ambiente del Senato il corposo documento “Danni da cinghiale (Sus scrofa) Gestire la specie per contenere significativamente i danni”, che verrà anche presentato alle  Regioni e Prefetture, che sono le principali articolazioni territoriali dello Stato che dovrebbero intervenire quando, alcune parti sociali o Sindaci, gridano “all’emergenza cinghiali”.
Come contributo al dibattito sulla gestione, contenimento ed eradicazione delle specie invasive, che da sempre greenreport.it ospita sulle sue pagine, vi proponiamo il documento di Legambiente.

Danni da cinghiale (Sus scrofa) Gestire la specie per contenere significativamente i danni
L’evoluzione storica e la situazione attuale della presenza del cinghiale (Sus scrofa) in Italia e le migliori tecniche per gestire le sue popolazioni e sub‐popolazioni è stata ben fotografata da quanto ampiamente descritto e illustrato in tutti i volumi e rapporti pubblicati in Italia negli ultimi venti anni sulla specie, di cui a seguire ne citiamo alcuni in mera progressione temporale:   1) Luigi Boitani, Paola Morini, 1996 – Linee guida per il controllo delle popolazioni di cinghiale in Italia. WWF Italia. 2) Andrea Monaco, Barbara Franzetti, Luca Pedrotti, Silvano Toso, 2003 – Linee Guida per la gestione del Cinghiale. Min. Politiche Agricole e Forestali – Ist. Naz. Fauna Selvatica, pp. 116. 3) Lucilla Carnevali, Luca Pedrotti, Francesco Riga, Silvano Toso, 2009 – Banca Dati Ungulati: Status, distribuzione, consistenza, gestione e prelievo venatorio delle popolazioni di Ungulati in Italia. Rapporto 2001‐2005. Biol. Cons. Fauna, 117:1 – 168. 4) Andrea Monaco, Lucilla Carnevali, Silvano Toso, 2010 – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Susscrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min. Ambiente – ISPRA. 5) Andrea Marsan, Stefano Mattioli, 2013 – Il cinghiale. Il Piviere edizioni.
Attualmente la specie, che è stimata presente in Italia con circa 1.000.000 di esemplari, è responsabile di ingenti danni sul territorio nazionale, in particolare nei confronti delle attività agricole, ed in alcune aree la soglia di tollerabilità è stata superata dando luogo a contestazioni ed accuse nei confronti degli Enti preposti alla gestione. La dimensione dei danni all’agricoltura in alcune regioni manifesta punte da emergenza economica per l’entità del danno arrecato alle colture e i conseguenti indennizzi a carico delle pubbliche amministrazioni. Questa situazione, ad esempio nelle piccole isole nelle quali il cinghiale era del tutto assente ed è stato immesso a scopo venatorio, ha inoltre le caratteristiche dell’emergenza ecologica per i pesanti impatti su ecosistemi e specie vegetali ed animali particolarmente vulnerabili: da anni è stata valutata l’urgenza della sua eradicazione in queste aree. D’altro canto, in positivo, tra le numerose relazioni ecologiche della specie, non va dimenticato che numerosi studi scientifici hanno dimostrato che il cinghiale rappresenta, in molte aree, anche più del 50% della dieta per la popolazione di lupo (Canislupus) presente in Italia, stimata in circa 1.500 esemplari, offrendo quindi un’alternativa concreta al potenziale impatto del lupo sugli animali domestici e un’effettiva riduzione dei conflitti con le attività zootecniche.
Cosa frequentemente si sente dire impedisca di risolvere i danni da cinghiale?
Tanti sono i fattori chiamati in causa, i più frequenti sono:   1) Le Aree protette, nelle quali il divieto di caccia impedirebbe di ridurre i numeri dei cinghiali fungendo da aree rifugio. Falso, in quanto nelle aree protette italiane la norma consente di svolgere regolarmente il controllo della fauna selvatica, cinghiale compreso, e diversi parchi hanno ampiamente dimostrato che ciò si può fare e con successo.
2) Gli eccessivi limiti imposti all’attività di caccia, che altrimenti sarebbe in grado di regolare le popolazioni di cinghiale. Falso, in quanto i principali danni vengono arrecati e sono registrati nelle aree in cui si esercita la caccia (attività con finalità ludica) e negli ultimi anni la caccia al cinghiale ha visto un’enorme crescita in termini numerici di partecipanti, anche se con differenze nelle diverse aree del Paese.
3) Le normative nazionali che non consentono o rendono difficile fare una efficace gestione della specie. Falso, diverse realtà italiane, tanto in aree protette che in aree in cui è consentito l’esercizio della caccia, hanno dimostrato che, a quadro normativo vigente, una corretta gestione della specie è possibile e consente di ridurre significativamente i danni da cinghiale.
Cosa frequentemente ha impedito di risolvere i danni da cinghiale?
I problemi legati all’impatto del cinghiale sul territorio possono avere origini e cause diverse, ma in particolare tre aspetti noti, spesso sottovalutati o non considerati, hanno finora rappresentato le più frequenti cause di insuccesso nel risolvere i danni da cinghiale, in particolare all’agricoltura.
Il primo aspetto è che quasi sempre i danni non sono direttamente correlati alla densità della specie, bensì alla distribuzione stagionale e territoriale delle risorse alimentari. In tutti i contesti dove si è cercata la soluzione al problema esclusivamente attraverso la riduzione numerica i risultati sono stati del tutto insoddisfacenti nello spazio ed in particolare nel tempo.
Il secondo aspetto è che la braccata (modalità di caccia svolta tramite un numero elevato di cacciatori e di cani) viene utilizzata quasi sempre come metodo esclusivo per il prelievo venatorio e, quindi, anche per la riduzione numerica della specie. La braccata, se utilizzata come lo strumento per la soluzione del problema dei danni, presenta diversi limiti e di seguito ne vengono elencati i principali:
  1. a) non esercita alcuna forma di selezione degli individui, che vengono prelevati indipendentemente dal loro sesso, età e rango sociale. Questo determina forti destrutturazioni delle popolazioni di cinghiale, in particolare per quanto riguarda le classi di età;
  2. b) popolazioni destrutturate di cinghiale causano maggiori danni sul territorio in quanto gli animali, mediamente di età minore di quanto si osserva in popolazioni naturali, sono caratterizzati da moduli etologici che determinano maggiore erratismo e propensione ad utilizzare alimenti di origine artificiale (colture) rispetto agli individui di maggiore età;
  3. c) i tempi in cui si esercita la caccia in braccata sono successivi, nell’arco dell’anno, ai periodi in cui la maggior parte delle colture agrarie sono più sensibili ai danni, e cioè alla maturazione dei prodotti. Questo comporta che la riduzione numerica esercitata dalle braccate (che secondo diversi studi può arrivare a circa il 50% della popolazione presente prima dell’avvio della caccia) si realizza quando il danno è già stato fatto. L’elevata prolificità della specie fa sì che quando inizia la nuova annata agraria la popolazione di cinghiale abbia recuperato la consistenza precedente e, per giunta, con molti più individui giovani che sono i maggiori responsabili dei danni;
  4. d) anche per motivi legati ad aspetti di sicurezza relativi alle modalità di svolgimento, la caccia in braccata agisce in luoghi spesso disgiunti o distanti dalle aree in cui la specie causa maggiori danni e, quindi, non svolge alcun tipo diselezione territoriale. La riduzione numerica conseguente, che ha utilità soprattutto se non destruttura le popolazioni, avviene in luoghi dove il danno non è presente o se lo è non viene percepito come un allarme sociale.
Il terzo aspetto è la mancata corresponsabilizzazione delle categorie sociali maggiormente interessate, ossia agricoltori e cacciatori, che se non direttamente chiamate ad assumere, in solido, le conseguenze dei mancati obiettivi di riduzione dei danni all’agricoltura per precisi ambiti territoriali, lasciano prevalere altri interessi particolari (aspetti ludici, economici, ecc.).
Questi tre aspetti hanno particolarmente inciso in un quadro generale in cui la gestione della specie cinghiale, in Italia, è stata derubricata al mero interesse del mondo venatorio (finalità ludica), il quale per decenni ha speso risorse economiche e organizzato attività per l’immissione di razze più prolifiche, di maggiori dimensioni, con traslocazioni di esemplari da un’area all’altra del Paese, foraggiandoli diffusamente ed attuando abbattimenti che “preservassero” la crescita numerica delle popolazioni locali per la successiva stagione venatoria.
Quale è l’approccio efficace alla risoluzione dei danni causati dal cinghiale?
L’approccio efficace per la risoluzione dei danni causati dal cinghiale, specie in buono stato di conservazione, è quello che prevede una pianificazione spaziale, numerica, temporale e sanitaria della presenza della specie, unitamente alla corretta definizione delle diverse tecniche di intervento (prevenzione, controllo, attività venatoria).
Pianificazione spaziale. Il territorio di competenza delle Regioni, Ente preposto dallo Stato alla pianificazione faunistico venatoria, è indispensabile sia suddiviso in aree vocate e aree non vocate alla presenza della specie. In questo caso il termine “vocato” è riferito alla idoneità del territorio a poter ospitare la specie cinghiale senza che la presenza determini danni non tollerabili/sostenibili alle attività antropiche, non si riferisce alla vocazionalità di tipo ambientale che tiene conto di altri parametri. All’interno delle diverse aree individuate devono essere riportate le aree a maggiore sensibilità (dove sono stati registrati i maggiori danni) al fine di programmare interventi mirati, chirurgici e soprattutto efficaci all’obiettivo primario: la significativa riduzione del danno.
Pianificazione numerica. Per le diverse tipologie di aree (vocate e non vocate) devono essere definiti parametri di presenza della specie cinghiale differenziati in termini di distribuzione e densità obbiettivo, anche in considerazione delle possibili fluttuazioni stagionali. Questo è certamente un aspetto che merita particolare attenzione per il cinghiale in virtù della sua elevata plasticità ecologica e delle oggettive difficoltà di ottenere dati di stima numerici affidabili attraverso le tecniche di conteggio utilizzabili (per vaste aree e dal punto di vista della sostenibilità economica) sulla specie in contesti gestionali e non di ricerca.
Pianificazione temporale. Nelle aree non vocate e nelle aree indicate come a maggiore sensibilità, la prevenzione ed il controllo numerico del cinghiale deve essere esercitato in diversi momenti dell’anno, ma con particolare attenzione ai periodi precedenti la maturazione dei prodotti oggetto di danni per territorio. A mero titolo di esempio: in aree dove il problema sono i vigneti gli interventi devono iniziare dai 60 ai 30 giorni precedenti il momento di maggiore sensibilità della coltura, e cioè quello della maturazione dei grappoli, mentre se il problema è il mais è opportuno intervenire prima della semina (momento in cui pochi esemplari possono mangiare tutta la granella seminata) e prima della maturazione latteo‐cerosa della pannocchie. In questo modo si ottiene una riduzione significativa del danno grazie a due effetti: la riduzione numerica (a volte anche molto limitata) e l’effetto dissuasivo che gli interventi determinano.
Pianificazione sanitaria. Considerate la complessiva, modesta, estensione territoriale italiana, l’alta densità antropica, il forte incremento delle specie alloctone, la traslocazione di specie autoctone, i cambiamenti delle condizioni climatiche, la crescente diffusione e simpatria tra popolazioni di diverse specie di animali selvatici e domestici (o comunque di utilizzo di medesime aree), l’aumento del consumo di carne in particolare di ungulati selvatici, è necessaria un’efficiente strategia di sorveglianza sanitaria attiva e passiva della fauna selvatica, attuata dalle Autorità sanitarie, certamente a partire dagli ungulati oggetto di cattura, controllo e attività venatoria e del cinghiale in particolare.
Tecniche di intervento (prevenzione, controllo e attività venatoria).
Le tecniche di intervento che devono essere adottate, non in contrasto tra di loro ma in modo sinergico in funzione dei parametri spaziali e temporali illustrati, sono le seguenti:
Prevenzione: tecniche indirette (colture a perdere, ecc.) e tecniche dirette (chimica, acustica, ottica, meccanica, elettrica). Controllo: trappole/chiusini, tiro selettivo, girata. Attività venatoria: braccata, girata, caccia di selezione (15 aprile – 31 gennaio). L’adozione di una o dell’altra tecnica non deve essere alternativa, ma sinergica in funzione delle problematiche da risolvere e delle caratteristiche della popolazione di cinghiale e del territorio. Nei contesti dove questa strategia sinergica è stata utilizzata è dimostrato che l’effetto sulla riduzione dei danni è altamente significativa.
In premessa risulta opportuno evidenziare come oggi sia divenuto inderogabile che le Regioni emanino il divieto di apertura di nuovi allevamenti di cinghiale unitamente ad una strategia per giungere alla chiusura di quelli esistenti. Contestualmente è importante che le Regioni emanino il divieto assoluto di vendita di cinghiali vivi da parte di qualsiasi soggetto pubblico e/o privato e il divieto di immissione di cinghiali su tutto il territorio regionale, stabilendo adeguate sanzioni. Ciò necessita che le Regioni realizzino la mappatura esaustiva per il territorio regionale circa la presenza di allevamenti e/o strutture che detengono cinghiali vivi, sia al chiuso che all’aperto, rendendo obbligatorio per tutte le strutture la tracciabilità di ciascun esemplare ivi detenuto. Anche per l’assenza di tracciabilità di esemplari di cinghiali vivi deve essere prevista adeguata sanzione.
Ovviamente sin dalle fasi iniziali non può essere trascurata la prevenzione e la dissuasione del danno attraverso un’accurata pianificazione spaziale e temporale delle opere. Ad esempio, gli agricoltori non possono immaginare di giungere ad un’effettiva riduzione del danno in una coltivazione in pieno campo collocata in aree limitrofe ad aree boscate senza porre in essere adeguate opere di prevenzione, che devono risultare efficienti ed economicamente sostenibili.
Un elemento essenziale del corretto approccio da assumere da parte dagli Enti gestori è legato alla corresponsabilità gestionale attribuita alle due categorie sociali chiave: agricoltori e cacciatori. Gli agricoltori e i cacciatori quasi mai in Italia sono attivamente coinvolti in un progetto gestionale del cinghiale di cui siano corresponsabili, ma semplicemente gli Enti lasciano che denuncino i danni (aspetto passivo) o vadano a caccia (aspetto ludico). Ad esempio, nel caso dei cacciatori, l’assegnazione individuale di una porzione di territorio ad una squadra di caccia al cinghiale in braccata, rispetto ad una regolare rotazione della stessa porzione tra più squadre, ha più lati positivi che negativi. Il positivo è legato al fatto che una squadra assegnata ad un territorio può essere chiamata a rispondere economicamente dei danni, ma senza questa previsione (il pagamento a loro carico dei danni da cinghiale) la squadra tenderà a far aumentare il più possibile gli animali per aumentare la soddisfazione venatoria e il ritorno economico conseguente alla vendita di una maggiore quantità di carne di cinghiale. Nei casi in cui si verificasse che una squadra assegnataria di un territorio “preferisca” pagare i danni pur di non ridurre il carniere e, quindi, non portare i danni entro una soglia tollerabile prestabilita, allora va obbligatoriamente prevista una forte sanzione (ad es.: riassegnazione di quel territorio ad altra squadra). Nel caso invece della ordinaria rotazione tra squadre in un medesimo territorio è vero che si mettono in concorrenza le squadre tra loro per chi “prende” di più (maggior prelievo), ma senza un unico soggetto responsabile per quel territorio nessuno potrà essere chiamato a rispondere economicamente dei danni che molto spesso avvengono fuori dal periodo di caccia e sono causati anche da pochi cinghiali. Nel caso degli agricoltori, d’altro canto, il coinvolgimento diretto nella pianificazione, programmazione e realizzazione delle attività di prevenzione, dissuasione e controllo dei danni da cinghiale, nel territorio di loro pertinenza, aumenta la consapevolezza circa la loro distribuzione spaziale, temporale e numerica e delle tecniche di intervento più efficaci a ridurli. L’assenza di tale consapevolezza coincide spesso con richieste agli Enti gestori per interventi fondati per lo più su aspetti sociali e/o emotivi, riducendo molto le possibilità di attuare interventi efficaci e risolutivi. L’importanza della corresponsabilità evidenzia che la formazione degli agricoltori operanti nelle aree sensibili (aree non vocate alla specie e a maggior sensibilità di danno) e dei cacciatori di cinghiale alla conoscenza dei principi di gestione e all’utilizzo delle diverse tecniche di intervento è una priorità per gli Enti gestori in un efficace progetto gestionale.
Per quanto riguarda il monitoraggio della specie è da un lato complesso ma dall’altro semplice. Infatti il cinghiale è una delle specie più difficili da monitorare in modo diretto a causa della sua ecologia ed etologia, ma essendo una specie cacciabile molti elementi utili si possono raccogliere mediante il monitoraggio degli esemplari abbattuti nelle ordinarie attività di caccia, elemento quasi sempre trascurato o assente. Per la risoluzione dell’impatto della specie è quindi fondamentale la raccolta di dati indiretti, a basso costo, che possono fornire indicatori affidabili per comprendere le dinamiche di popolazione da un lato e quelle dell’impatto dall’altro, al fine di impostare, operare e adeguare le scelte di gestione più efficienti.
Un efficace progetto di gestione del cinghiale non può oggi prescindere dall’attivazione, aggiornamento e implementazione di una banca dati affidabile con tutti i parametri legati alla problematica, ovviamente rigorosamente georeferiti, tra cui in primo luogo: a) parametri di distribuzione; b) parametri di dinamica; c) parametri di impatto (danni); d) parametri di distribuzione spaziale delle risorse trofiche nell’arco dell’anno; e) parametri di distribuzione spaziale dei principali elementi d’interesse sanitario.
E intanto? Provvedimenti straordinari e urgenti per la risoluzione dei danni da cinghiale: Commissariamento ad acta degli Enti di gestione che non hanno correttamente operato per contenere i danni da cinghiale.
Al fine di recuperare velocemente e organicamente un quadro corretto di gestione della specie cinghiale e di dare risposta urgente ed efficace agli ingenti danni subiti dagli agricoltori, laddove gli Enti di gestione territorialmente preposti (Ambiti Territoriali di Caccia, Comprensori Alpini, Aree protette regionali e locali, ecc.) non hanno operato utilizzando tutte le conoscenze legate alla gestione della specie, oltre che alle opportunità che la normativa di riferimento già offre, la Regione può adottare una strategia di gestione straordinaria e urgente, tramite Commissariamento ad acta di tali Enti di gestione limitatamente alla risoluzione dei danni causati dal cinghiale con la costituzione di un Sistema di Allarme Rapido (Rapid Alert System) e l’adozione di uno specifico Piano Poliennale di Gestione del cinghiale. La durata massima del Commissariamento ad acta, esclusivamente finalizzato al controllo dei danni causati dal cinghiale, dovrà essere preventivamente fissata in un arco temporale massimo di tre anni, termine entro il quale il Commissario nominato dalla Regione dovrà ottenere che l’Ente di gestione sia messo in possesso formale e sostanziale di tutti gli elementi tecnico‐gestionali necessari, la cui assenza è emersa tramite preventiva indagine conoscitiva, e quindi in condizione di operare l’ordinaria gestione della specie e l’efficace prevenzione, dissuasione e controllo dei danni.
Al fine di valutare, con il massimo della rapidità ed oggettività, per quali Enti di gestione sub‐ regionali la Regione possa adottare provvedimenti straordinari e urgenti, le Regioni attivano, tramite gli Uffici tecnici regionali, una specifica indagine conoscitiva al fine di verificare, in 30 giorni ed in relazione alla specie cinghiale, il possesso da parte degli Enti gestori dei seguenti elementi: ‐ L’Ente ha un Piano Poliennale di Gestione per la specie cinghiale? ‐ L’Ente ha un Programma Annuale Operativo per la specie cinghiale? ‐ L’Ente ha definito Comprensori omogenei di Gestione (CdG) per il cinghiale? ‐ I CdG sono adeguati in funzione delle caratteristiche territoriali? ‐ I CdG sono pianificati includendo le diverse aree in funzione degli obbiettivi gestionali (aree venabili, aree protette, aree demaniali, ecc. …)? L’Ente ha adeguatamente formato i cacciatori e/o coadiutori e gli agricoltori? ‐ L’Ente ha adottato tutte le tecniche di prevenzione, dissuasione e controllo? ‐ L’Ente ha una banca dati georeferita, che raccolga almeno i dati degli esemplari prelevati, dei danni alle colture agricole, degli incidenti stradali? L’Ente ha un modello di indennizzo dei danni oggettivo?
Nei casi in cui l’esito dell’indagine conoscitiva condotta dalla Regione evidenzi lacune di natura tecnico‐gestionale in oltre un terzo degli elementi indicati la Regione potrà adottare il Commissariamento ad acta. Il Commissario ad acta avrà l’obbligo di attivare, entro 15 giorni dalla nomina, le procedure per la redazione del Piano Poliennale di Gestione della specie cinghiale e, sempre entro i medesimi 15 giorni, di attivare un Sistema di Allerta Rapido (Rapid Alert System) che garantisca risposta agli agricoltori entro le 48 ore dalla segnalazione di danno. A tal fine il Commissario attiverà, per aree omogenee, uno o più numeri telefonici di riferimento, operativi h24, che consentano agli agricoltori di attivare la procedura di verifica del danno e di avvio delle tecniche di prevenzione e controllo. La procedura di intervento rapido (Rapid Alert System), avvalendosi delle sole tecniche di prevenzione, dissuasione e controllo, si svilupperà con le responsabilità di seguito indicate:
Soggetti preposti al coordinamento degli interventi: Organi di Vigilanza e Polizia. Soggetti preposti ai controlli sanitari: Servizi veterinari delle Aziende sanitarie
Soggetti preposti alla logistica degli interventi: Enti parco, ATC, CA, Associazioni venatorie e agricole, Volontari ‐ Tecniche di controllo:strumenti di prevenzione/dissuasione, trappole/chiusini, tiro selettivo, girata
Orari di intervento: tutte le 24 ore a seconda delle necessità
Destinazione dei capi abbattuti: controllo sanitario e destinazione a filiera alimentare il cui ricavato introitato, tramite il Commissario ad acta, dalla Regione sarà destinato a copertura delle spese di indennizzo dei danni registrati. La Regione potrà prevedere che, in ciascun ambito omogeneo, sia possibile la vendita di quota parte, comunque non superiore al 50% del totale, della carne ottenuta, a prezzo agevolato, ai coadiutori partecipanti alle attività di prevenzione e controllo in quella medesima area.

fonte articolo  http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/danni-da-cinghiale-gestire-la-specie-per-contenerli-significativamente/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter

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