Con la presente
vorremmo sollevare di nuovo il problema della ex Manifattura Ceramiche
Brunelleschi (Appello/2017[1]).
A
distanza di più di un decennio dalla chiusura della Fabbrica è legittimo porsi
l'interrogativo se, la mancata assunzione di responsabilità di chi doveva
salvaguardare l'immobile e le sue attrezzature di archeologia industriale,
abbia avuto come risultato il totale abbandono di tutta l'area alle incurie del
tempo.
Forse la curatela e le amministrazioni
competenti (esclusa la Soprintendenza che, nell'ambito delle proprie
competenze, ha sempre cercato di salvaguardare il bene), al tempo del
fallimento, obnubilati dal defunto boom edilizio, hanno scordato che nel Piano
Strutturale del Comune di Pontassieve gli Opifici antichi (il nostro è datato
intorno al 1700) siano oggetto esclusivamente di restauro conservativo.
Con
la stessa dimenticanza, a suo tempo, sono stati demoliti due importanti
testimonianze di Archeologia Industriale: gli Opifici delle Vetrerie del Vivo e
la Fornace dei Veroni, con la sua splendida Ciminiera.
La
Manifattura ex Brunelleschi è rimasta prigioniera di un complesso sistema di
curatele (esisteva un curatore per il Marchio di Ceramiche di Pregio che sembra
sia stato svenduto, a pochissimo prezzo, ad una grande ditta di Modena, esiste
tutt'ora un curatore per l'immobile e l'area di proprietà) e di una serie di
aste fallimentari andate tutte deserte (ad ognuna di queste il prezzo viene
ribassato). In questa intricata situazione sembra che qualcuno abbia avuto
l'idea originale di assegnare ad una Ditta la raccolta di tutto il ferro
esistente nella fabbrica. Così, insieme ad infissi, anche attrezzature,
utensili e resti di forni antichi, esempi di archeologia industriale,
potrebbero essere stati venduti come ferrovecchio.
La
Famiglia degli Albizzi, in particolare Vittorio, contribuì a rendere l'area
intorno alla Brunelleschi e alle Gualchiere densamente operosa e
collettivamente unita, i due immobili, destinati alla produzione, furono curati
in maniera pregevole. L'Arno non era un confine che separava tre Comuni ma un
motivo di unione nel lavoro e nelle relazioni.
La
Brunelleschi aveva un rapporto diretto con il Fiume, come risulta da una
intervista fatta ad un vecchio operaio:
“Le mie informazioni si basano su un
vecchio documento e sui racconti dei vecchi operai. Esisteva un collegamento
diretto della fabbrica con il fiume, attraverso una galleria che sfociava nel
piazzale. Il cosiddetto PORTO ha avuto negli anni funzioni diverse: era
sicuramente un punto di arrivo per i Renaioli che trasportavano, secondo le
esigenze produttive o la rena oppure la Mota (fango del fiume). I barchetti
entravano direttamente in fabbrica. Doveva funzionare anche come punto di
ingresso delle piene del fiume, per la successiva sedimentazione del fango. Quell'area
enorme non è altro che una gigantesca vasca di raccolta che, adesso si è
innalzata di più di tre metri.
Successivamente sono state introdotte
delle pompe che rendevano meno casuale l’approvvigionamento della materia
prima. I pistoni in cemento e ferro delle pompe sono ancora appoggiati in un
angolo del vecchio capannone. Quando sono stato assunto in Brunelleschi la
parte finale del “porto” era già stata interrata per far posto ad uno dei
capannoni più moderni. Ne rimangono gli ultimi dieci metri, quelli più vicini
alla statale. Un arco si apre sotto la statale e la attraversa per una decina
di metri, sfociando in Arno. Adesso dovrebbe essere completamente interrato.
Come tutto quello che riguarda lo stabilimento Brunelleschi, la sua costruzione
è una meraviglia. Non tanto per l'opera ingegneristica, ma per l'uso sapiente
dei materiali da costruzione. I muri sono una miscela di pietra e mattoni, che
però lascia poco al caso, ma presenta la ricerca dell'ortogonalità e del piano.
Le pietre, come quelle delle facciate degli immobili originali, sono sbozzate e
squadrate a mano. I mattoni prodotti in loco. È interessante vedere come altre parti, sempre in pietra ma
di epoca più recente, siano già molto diverse. Negli originali non c'è mai una
“madonna”, che non è altro che una pietra posta in verticale, anziché poggiata
sulla parte di maggior superfice, in orizzontale quindi. Un occhio attento lo
nota subito riuscendo ad apprezzare il lavoro svolto per la durata nel tempo e
non per la rapidità dello sviluppo del lavoro.
È proprio per questa caratteristica che i muri sono ancora
in piedi e vedranno, prima di crollare, l'estinguersi di coloro che hanno dato
il loro contributo a questo stato di cose.”
L'epoca
attuale è ben diversa: la valle dell'Arno è circondata da Comuni che, nelle
difficoltà di un economia propria ha puntato tutto negli oneri di urbanizzazione,
producendo una crescita insediativa disordinata in cui famiglie di pendolari,
che considerano la casa quasi come un dormitorio, si disinteressano alla vita
sociale del proprio Comune.
Avevamo, a suo tempo,
fatto la proposta di una scannerizzazione digitale, in 3D, che sarebbe servita
a ricostruire al computer tutta la fabbrica nei più minimi particolari, e
aprire un portale accessibile interattivo in grado di arricchirsi di
informazioni ed essere attrattivo anche per il turismo di archeologia industriale.
La risposta è stata negativa.
Per
questo chiediamo
-Di
non cancellare le poche opere rimaste di archeologia industriale, ma
riscoprirne la loro memoria storica rendendole fruibili alla collettività,
inserendole in un percorso storico-culturale-formativo che si aggiunga ai punti
di interesse del centro storico, del Castello e delle Mura;
-che
nelle trattative con eventuali compratori venga richiesto, almeno per quanto
riguarda la parte più antica della fabbrica, di creare un area museale aperta
al pubblico e di realizzare un corridoio ciclopedonale in sicurezza per poter
ammirare l'aspetto architettonico degli immobili nel loro complesso che rimanga
come itinerario culturale, di svago e di sport per tutti i cittadini e turisti;
-di
fare il possibile per ristabilire un contatto con il fiume, riaprendo l'antica
galleria in mattoni, prodotti in loco, che collega la fabbrica al fiume stesso;
-che si giunga al più
presto ad ottenere i fondi per una bonifica come risulta dal Progetto di
Bonifica già presentato a suo tempo alla ASL dopo che furono rilevati
molteplici aspetti critici di natura ambientale (rifiuti, rifiuti
potenzialmente pericolosi, eternit, ecc.).
Crediamo
che rendere di uso collettivo, almeno una piccola parte della Fabbrica, sia un
passo importante che faccia crescere la consapevolezza di una matrice in comune
e un senso di appartenenza che apre all'idea di inclusione.
Pontassieve,
10 Settembre 2018
Associazione
“Vivere in Valdisieve”
La
Presidente Roberta Vigna
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