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martedì 27 ottobre 2020

Montanari e Museo Ginori - Ecco perché ho accettatol’incarico da Franceschini

 dal Fatto Quotidiano di oggi

di Tomaso Montanari

Spero che mi perdonerete se scrivo questa pagina in prima persona, ma pochi giorni fa il ministro Dario Franceschini mi ha nominato presidente della Fondazione a cui appartiene il Museo Ginori di Sesto Fiorentino – ben noto ai lettori di questa rubrica. Una nomina che ha suscitato un piccolo polverone politico, con retroscena fantasiosi: “Perché Franceschini ha pensato proprio a Montanari, spesso così critico verso il suo operato?”. Forse la risposta sta nel mio coinvolgimento nella battaglia pubblica per salvare il museo: un museo privato che era rimasto impigliato nel fallimento della Ginori, e che, chiuso da anni, ha rischiato la distruzione materiale. Nell’ambito di un impegno che si è tradotto in molti articoli, e nell’ideazione e nella co-curatela di una mostra al Bargello di Firenze, ho combattuto per la salvezza del Museo: sono stato il primo a proporre pubblicamente che fosse lo Stato ad acquistarlo (2015), e quindi a proporre di conferirlo ad una Fondazione di partecipazione, con enti locali e soci popolari (2016). Per questo, quando entrambe le cose sono successe, ho fatto parte del gruppo di lavoro che ha delineato l’identità della Fondazione, e redatto il suo Statuto.

Nonostante tutto questo, quando Franceschini me ne ha proposto la presidenza, mi sono stupito. Ma ho accettato: perché è un incarico a titolo gratuito, e dunque non c’è alcuno scambio. E perché, per quanto grande possa essere il disaccordo, se un ministro della Repubblica chiede a un professore della pubblica università di fare qualcosa nel pubblico interesse, è giusto accettare. La sfida, d’altra parte, è appassionante: innanzitutto per la qualità straordinaria di una collezione che va dai modelli barocchi raccolti alla sua fondazione (1737) dall’illuminato marchese Carlo Ginori (una specie di Adriano Olivetti del suo tempo), alle opere di Giò Ponti, glorioso direttore della manifattura.

Ma è tutto urgente, al Museo Ginori: bisogna correre, per non perdere i finanziamenti già stanziati, facendo subito tre cose. La prima cosa è condurre a termine il restauro dell’edificio del museo, recuperandone lo spazio espositivo. La seconda è fare sentire la voce della Fondazione nella progettazione dell’area urbanistica del museo (e dello stabilimento Ginori, ancora in funzione, che gli è prossimo). La terza è dare al Museo la sua anima: il personale di custodia e di amministrazione, il comitato scientifico e il direttore (da scegliere attraverso un concorso). L’obiettivo è non farne solo un museo della porcellana, o un museo industriale: ma un museo del territorio, che racconti la storia della comunità di Sesto Fiorentino e della Piana tra Firenze e Pistoia.

Nel 1956, in un altro momento difficile di questa travagliata storia, il consiglio comunale di Sesto ricordò con commozione e fermezza che alla Ginori “è legata moralmente in modo particolare la cittadinanza sestese, che, attraverso i secoli, con operosità e sacrificio, ha dato vita ad una così fiorente industria”. Una storia viva: ho partecipato ad assemblee di piazza in cui i sestesi di oggi rivendicavano con lucidità che il Museo Ginori non è solo un deposito d’arte, ma l’unico luogo cittadino che racconti l’epopea di una comunità di lavoratori, magari appena alfabetizzati, ma orgogliosamente legati a una sapienza manuale tramandata di generazione in generazione. Una storia, come sempre, chiaroscurata: perché insieme alla dignità di un lavoro così unico, agli operai toccava spesso anche la silicosi. Già nel 1829 nasce la Società di Mutuo Soccorso Ginori, ed è parlando dei lavoratori della Ginori che don Lorenzo Milani dice che lo sciopero è un’arma sacrosanta, assai più di quanto non lo fosse la spada del cavaliere medioevale, che pure era benedetta sugli altari. Anche solo questi cenni, permettono di capire che non si tratta di rimettere qualche “chicchera” di porcellana nelle vetrine: ma di immaginare dalle fondamenta un museo nuovo, che potrà anche ampliarsi in nuovi edifici e altri spazi.

Un luogo di studio e di ricerca, e al tempo stesso una casa accogliente per tutti i cittadini, a partire dai bambini delle scuole. Un museo che dialoghi fittamente con lo stabilimento che continua a produrre pezzi “Ginori” e con le realtà produttive del territorio, ma che abbia ben chiaro che il suo obiettivo non è il marketing, bensì lo sviluppo della persona umana attraverso la cultura e l’arte. Quando la manifattura compiva un secolo, nel 1837, un altro marchese Ginori disse che la popolazione che viveva grazie alla sua fabbrica doveva essere “felice”: cioè non solo “benestante per mezzo del lavoro, ma istruita, e onestamente allegra, e ingentilita dalle arti belle che aprono l’anima ai diletti puri, e con le facoltà dello spirito coltivano e addestrano quelle del corpo. Egli stabilì una scuola elementare pei lavoranti, le scuole delle arti del disegno e un’Accademia di Musica”.

 La felicità pubblica: ecco l’unico scopo che avrà la Fondazione Ginori.

FONTE ARTICOLO E IMMAGINE: https://www.pressreader.com/italy/il-fatto-quotidiano/20201026/281981790085417

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