di Daniel Tarozzi | 20 gennaio 2014
Sono anni che da molte parti si denuncia il dissesto idrogeologico e si annunciano i disastri che questo avrebbe comportato nel tempo. Io lo so bene, avendo seguito queste tematiche – come giornalista – fin dal 2002.
I mass media e la maggior parte dei politici, però, ritengono questi temi da “ambientalisti” e non li considerano mai in cima “all’agenda”. Anche i giornali che si pongono fuori dal coro preferiscono aprire quotidianamente le loro prime pagine con le dichiarazioni di questo o quel politico, i tentativi più o meno vani di riforma elettorale, le ruberie o la corruzione.
Nel frattempo, però, il nostro Paese frana. Letteralmente. La colpa dei disastri degli ultimi anni è solo parzialmente dovuta ai fenomeni climatici sempre più violenti. Le cause principali sono invece da ricercare nella continua deforestazione e cementificazione del nostro territorio e specialmente delle nostre coste.
La Liguria, la Sardegna, la Toscana e molte altre regioni si trovano così costantemente sotto allerta, mentre i fiumi esondano e i cittadini devono formare comitati per fermare nuove cementificazioni lungo gli argini.
Il tutto mentre, da anni, un pezzo di Italia – l’Italia che cambia – propone soluzioni concrete, le mette in pratica, dimostra che si può fare e invoca attenzione su questi temi. Mi riferisco al movimento“Stop al consumo di territorio”, alla campagna “Salviamo il paesaggio”, all’approvazione dei piani a crescita zero voluti da alcuni comuni, capofila Cassinetta di Lugagnano allora governata da Domenico Finiguerra, che dimostrano come si possa fermare la devastazione e tutelare territori, economia e posti di lavoro ottenendo persino il consenso dei cittadini.
Io ero presente alla fondazione di questi movimenti, alle campagne promosse da molti sindaci, alle petizioni e all’approvazione di questi piani regolatori. Ero presente ed ero spesso l’unico giornalista.
Ai grandi giornali e alle televisioni, mi dicono da anni capiredattori e responsabili di programmi, non interessano “le buone notizie”. Hanno cose più importanti da raccontare. Come, ad esempio, la tresca del Presidente francese Hollande…
E poi, affermano famosi conduttori di talk show, al nostro pubblico non interessano questi temi. La gente vuole solo la denuncia.
Già, la denuncia che dura una settimana, ci racconta di morti e dolori e poi dimentica, sistematicamente, di proporre un’alternativa e raccontare chi le cose le fa davvero e costruisce un’alternativa al disastro imperante.
La vera eversione, oggi, è agire concretamente per cambiare le cose. Raccontarla significa promuovere modelli che altri potrebbero imitare innestando così un risveglio popolare.
Esiste un’altra Italia ed è fatta di persone che sognano l’impossibile e lo realizzano, ogni giorno.
Io l’ho vista, l’ho incontrata regione per regione, l’ho conosciuta, l’ho raccontata. Un giorno, forse, anche i mass media proveranno a dargli voce. Intanto, però, queste persone, questi imprenditori, questi sindaci, questi movimenti, esistono e insistono sul loro territorio. “Cambiare è possibile”, dice uno slogan dell’Associazione Comuni Virtuosi, “lo stiamo già facendo”.
A noi il diritto-dovere di incontrare, raccontare, studiare e in alcuni casi imitare chi si è messo in movimento. Possiamo farlo, oppure possiamo aspettare la prossima frana… sperando che questa volta non ci colpisca in prima persona.
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