Una
segnalazione per un libro che si annuncia molto importante nel
denunciare la politica delle “grandi opere” con le loro insite
situazioni di disastrosi rapporti costi/benefici ed enorme spreco di
risorse pubbliche e ambientali.
La stessa prefazione di Werner
Rothengatter descrive in dettaglio ambiti e modalità nei quali si
sviluppano tali progetti e che molti di noi hanno imparato a conoscere
in prima persona nel contrastarli.
L’esempio
di un progetto affidato al 27% di sconto a una Cooperativa Emiliana e
che ha già speso molto più del valore dell’appalto iniziale per l’intera
opera e che non ha ancora scavato un metro dei due tunnel e continua a
macinare risorse pubbliche, è lì davanti agli occhi dei fiorentini, come
altri due possibili futuri disastri come il nuovo Aeroporto
“indispensabile” per lo sviluppo dell’economia fiorentina e un Mega
Inceneritore nella Piana per arricchire le lobby proponenti.
Tutti con l’appoggio incondizionato, vergognoso dell’oligarchia locale.
Associazione Valdisieve
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SOLA ANDATA
I
politici, anche onesti, vogliono almeno essere rieletti. Cercano quindi
di spendere il più possibile e in tutti i modi possibili. E, se
possibile, in modo che gli elettori percepiscano chiaramente chi devono
ringraziare per i benefici che arrivano loro da queste spese. E che cosa è
meglio delle grandi infrastrutture a questo fine ? Si vedono, si
inaugurano con grandi cerimonie mediatiche, fanno contenti i
costruttori, gli utenti (anche se quelli reali sono relativamente pochi)
e i politici locali. Occupano gente e non attirano la concorrenza di
imprese straniere, le opere pubbliche infatti sono molto «locali». È
così ovunque nel mondo. Il fatto che spesso possano essere soldi
sprecati, cioè che generino molti più costi che benefici per la
collettività, interessa pochissimo, e misurare questo scarto è
pericoloso. Proprio in termini di consenso...
Un’intervista a Marco Ponti https://www.letture.org/sola- andata-trasporti-grandi-opere- e-spese-pubbliche-senza- ritorno-marco-ponti/
Trasporti, grandi opere, e spese pubbliche senza ritorno - Università Bocconi Editore
Prefazione di Werner Rothengatter
Indice
1 - La logica antica delle grandi opere moderne
Da Smith a Dupuit, da Keynes a Buchanan: un minimo di teoria economica
Perché una ferrovia non è un’autostrada e altri aspetti generali delle infrastrutture
Come riconoscere un’opera che serve davvero e note a margine sulla recente politica americana
2 - Una storia tutta italiana
Mobilità individuale e motorizzazione di massa
Tutto «come era, dove era»: la ricostruzione delle ferrovie
Un generoso dono allo Stato e una storia di pedaggi crescenti
Una festa per tutti: alle origini di un blocco sociale composito, ma unito negli obiettivi
3 - L’Alta Velocità, madre di tutte le grandi opere recenti
Le diverse vie (di successo) di Giappone e Francia, mentre intanto in Italia…
Di sibili e sotterranei, carrozze arrugginite e scintillanti tram
Tortuosità di tratte in pianura e un piccolo miracolo
Qualche analisi ex post
Considerazioni di socialità: ambiente, ricchi e poveri, occupazione
4 - Piani contro lavagne, e due progetti esemplari
Un nuovo Piano Nazionale dei Trasporti e l’irruzione mediatica dal Cavaliere
Messina: operazione ponte
Val di Susa: un’opera indifendibile, una protesta locale, un movimento nazionale
5 - La Grande Svolta (in cerca di consenso)
Un’ondata politica di rinnovamento, presto tradita
La cura del ferro e la fine di ogni speranza
6 - Le magnifiche sorti e progressive degli sprechi (di cui nessuno risponderà)
Lo scenario attuale: dieci esempi molto illuminanti
Quando lo Stato si dà delle penali, e poi rischia di pagarle...
7 - La foglia di fico della «Struttura tecnica di missione»
Prioritario discutere, purché di ferrovie
Qualche problema tecnico, che in realtà è ideologico
8 - Le proteste locali: un comodo diversivo
Comportamenti strategici
Casi esemplari, in positivo e in negativo
9 - Conclusioni (pars destruens)
Aspetti generali
Il ruolo delle Ferrovie dello Stato
Prefazione
di Werner Rothengatter*
* Professore emerito di Economia dei trasporti presso l’Istituto di Economia politica del Karlsruher Institut für Technologie.
I grandi progetti (o megaprogetti) sono caratterizzati, secondo Bent Flyvbjerg[1] della Saïd Business School dell’Università di Oxford, da quattro aspetti eccezionali (sublimes) che possono avere natura tecnologica, politica, economica o estetica.
Le
tecnologie innovative o le prestazioni tecnologiche estreme sono
affascinanti per gli ingegneri, che si sentono sfidati a dimostrare
capacità fuori dal comune. I policy makers e i loro sostenitori
si aspettano che la regione interessata ottenga una maggiore visibilità e
i politici responsabili a vario titolo una reputazione migliore. Uomini
e donne d’affari sognano di creare occasioni importanti per fra
crescere i profitti delle loro imprese. Per finire, l’estetica di un
progetto può contribuire a rinnovare l’immagine di una regione o di una
città, assegnando loro un segno di riconoscimento visibile, da piazzare
su foto e magliette.
Tali
aspetti eccezionali sono spesso accampati dai promotori per
giustificare i costi estremamente alti dei megaprogetti, costi che
possono raggiungere svariati miliardi di euro. Ci si aspetterebbe che
gli sforzi investiti in un’attenta pianificazione progettuale e nella
stima dei costi aumentassero almeno in modo direttamente proporzionale
al volume finanziario di un’iniziativa. Sorprendentemente, però, le
analisi dei megaprogetti rivelano un risultato contrario alle
aspettative, ovvero che quelli di dimensione maggiore sono più soggetti a
fallimenti gravi in materia di pianificazione, acquisti e costruzione
rispetto a quelli più piccoli. In alcune di queste circostanze, i
processi di pianificazione arrivano a somigliare alla costruzione di una
casa il cui inesperto proprietario, dirigendone i lavori, inizia con
molto entusiasmo per finire poi in preda alla disperazione assoluta. È
quello che succede per esempio quando un’iniziativa è gestita da
un’amministrazione locale o regionale per la quale il megaprogetto
rappresenta una sfida eccezionale: gli sforamenti sui costi o sui tempi
possono allora essere giustificati proprio dall’eccezionalità.
Casi
di fallimento involontario di questo tipo, in materia di
pianificazione, sono però una minoranza rispetto ai fallimenti legati in
modo più sostanziale ai processi di pianificazione e di finanziamento, e
previsti in piena consapevolezza da parte dei soggetti promotori.
Le cause dei fallimenti citate con maggior frequenza sulle riviste e negli studi scientifici sono[2] :
•
un’insufficiente cura nella fase di pianificazione preliminare, non
sufficientemente supportata da promotori pubblici e privati;
•
decisioni di (iper) progettazione in una fase iniziale di
pianificazione, che costringono ad apportare successivamente cambiamenti
significativi ai piani;
•
competenze tecniche insufficienti da parte dei manager degli enti
pubblici che gestiscono il progetto, o una struttura inappropriata delle
società di progetto e delle organizzazioni di controllo, studiate in
modo da dare privilegi ad alleati politici;
• valutazioni economiche approssimative e a volte palesemente falsate;
•
la ricerca di rendite da parte di imprese private inclini a lanciare
offerte minime per appalti di fornitura e a gonfiare al massimo in tempi
successivi le pretese supplementari;
•
la mancata cooperazione tra progettisti, società di costruzione e
autorità pubbliche, che conduce spesso a contese legali e interruzioni
dei lavori;
• diffuse incapacità di gestire cambiamenti del contesto e rischi.
Fallimenti
di questo tipo sono addirittura favoriti se il progetto è finanziato da
soggetti esterni, come per esempio il progetto del tunnel stradale di
Boston (il «Boston Big Dig»), finanziato dal governo federale degli
Stati Uniti. Molti grandi progetti locali relativi ai trasporti pubblici
(tram, metropolitane) hanno questa caratteristica e introducono
incentivi che spingono l’amministrazione locale e gli stakeholder che li
promuovono a manipolare le cifre relative a costi e benefici per
ottenere l’approvazione del cofinanziamento federale.
Nel
caso degli aspetti di natura estetica (l’esempio può essere quello di
progetti culturali come l’Opera House di Sydney o la Elbphilharmonie di
Amburgo) è fenomeno più o meno naturale che politici, artisti e mezzi di
comunicazione intervengano continuamente a incrementarne la
complessità, nonché le deviazioni dai piani iniziali. Malgrado tutti i
disastri di pianificazione e costruzione, alcuni di tali progetti
culturali alla fine possono arrivare a simboleggiare l’attrattività
della città, tanto che gli sforamenti sui costi e sui tempi possono
essere compensati dal maggior numero di visitatori.
Anche
nel caso delle innovazioni straordinarie di natura tecnologica non ci
si può aspettare che le idee originarie possano essere realizzate
esattamente come pianificato, di conseguenza le deviazioni dalle stime
iniziali dei costi rappresentano la norma e non l’eccezione.
Alcuni
esempi sono il MagLev, il treno a levitazione magnetica che collegherà
Tokyo e Ōsaka attraverso Nagoya, in cui la stima dei costi per la tratta
iniziale da Tokyo a Nagoya e stata incrementata di circa 100 miliardi
di dollari; o il progetto Hyperloop, considerato un’alternativa ai treni
ad alta velocita sulla West Coast degli Stati Uniti, rispetto al quale i
promotori al momento dichiarano pubblicamente solo i costi medi stimati
per la costruzione di un chilometro di linea in aree non urbane,
escludendo le ben più costose tratte in pieno centro, e le stazioni e
gli impianti di emergenza.
Tuttavia,
quando si tratta di pianificare aeroporti, ponti, autostrade o tratte
ferroviarie ad alta velocita, gli argomenti basati sull’eccezionalità
degli aspetti estetici o tecnologici non valgono. Le componenti
innovative infatti sono limitate, e quindi la maggior parte del progetto
può essere pianificata e ingegnerizzata sulla base di conoscenze già
esistenti e collaudate. Malgrado in genere un megaprogetto non abbia
precedenti in una determinata zona, esistono infatti diversi progetti
simili nel mondo, da cui a posteriori trarre esperienze per stimare
costi, rischi e potenziali benefici in modo più affidabile. Nel caso
delle ferrovie ad alta velocita, gli economisti esprimono dubbi su un
numero sempre più grande di progetti, circa il fatto che l’enorme
investimento sia giustificato da benefici economici[3]. In particolare, i rapidi sviluppi di queste reti in Cina[4] o in Spagna[5] sono
oggetto di analisi critica: il risultato è che una parte considerevole
di tali investimenti può essere giustificata solo da argomenti politici,
a volte basati sull’equità regionale o sulla tutela dell’ambiente (dal
punto di vista climatico). Ciò solleva tuttavia rilevanti interrogativi
circa il fatto che gli impatti auspicati in termini di equità regionale e
tutela dell’ambiente possano essere ottenuti in modo più economico
mediante altre misure.
Detto
ciò, sarebbe tuttavia fuorviante classificare tutti i megaprogetti, e
in particolare i piani per le ferrovie ad alta velocità, come «disastri
annunciati». Se si prende la decisione, come collettività, di ridurre
gli impatti ambientali dei trasporti e si identifica un trasferimento
modale verso le ferrovie come passo efficace in tale direzione,
occorrerà promuovere un profondo cambiamento in termini di attrattiva
del trasporto ferroviario. Sarebbe quindi necessario sottoporre le reti
ferroviarie ad attività che richiederanno altri investimenti
straordinari, dato che, nei decenni di disponibilità a buon mercato dei
terreni e di altre risorse, i policy makers responsabili dei
trasporti hanno preferito costruire autostrade, meno onerose per le
casse pubbliche. Una ristrutturazione delle ferrovie è comunque
estremamente costosa e può essere giustificata dal punto di vista
economico solo se tali investimenti saranno accompagnati da politiche
ancora più severe in materia di traffico stradale, come nel caso degli
investimenti sui tunnel AlpTransit in Svizzera e delle misure politiche
associate. Un altro esempio di questo tipo di interventi è il modo in
cui è stata creata artificialmente una domanda relativa al progetto
MagLev in Giappone, attraverso l’imposizione di limiti al trasporto
aereo domestico mediante il congelamento della capacità dell’aeroporto
Haneda di Tokyo.
In
Italia diversi megaprogetti sono al centro di accesi dibattiti, e
potrebbe essere utile ricorrere al paradigma degli aspetti eccezionali
per descriverli.
Nel
caso del ponte sullo stretto di Messina, per esempio, l’argomento
politico prevalente è basato sullo sviluppo regionale di Calabria e
Sicilia, regioni meno sviluppate rispetto al resto del paese. In queste
circostanze, tuttavia, quel progetto non sembra eliminare un collo di
bottiglia, come invece nei casi dei ponti sul Bosforo, sul fiume Tago o
sull’Øresund; è difficile aspettarsi una crescita automatica delle
economie regionali indotta unicamente da un ponte. Un investimento di
questo tipo dovrebbe dunque essere inserito in un contesto di misure
politiche volte a promuovere la competitività economica regionale nel
suo complesso, così da generare benefici maggiori dei costi
dell’investimento.
Nel
caso del progetto relativo alla ferrovia Torino-Lione sembra prevalere
l’argomento di tipo ambientale, ma resta da verificare se sia possibile
adottare misure aggiuntive, insieme a parametri di progettazione
ridotti, per raggiungere gli stessi obiettivi ambientali contenendo i
costi pubblici entro limiti accettabili.
l
progetto della ferrovia Milano-Genova sembra motivato principalmente
dagli impatti economici, perché la tratta fa parte del corridoio tra
Rotterdam e Genova, in particolare per il trasporto merci. Progetti di
questo tipo richiedono tuttavia un’attenta analisi degli eventuali
impatti economici più ampi («wider economic benefits»), al di là delle
stime sui risparmi diretti in termini di tempo e di costi operativi. Ciò
significa che la tradizionale analisi costi-benefici, che pur ha il
vantaggio di numerose applicazioni e un alto livello di
standardizzazione, dovrebbe essere estesa a uno studio dei citati
impatti economici più ampi, sotto la supervisione di un comitato
scientifico indipendente, in assenza di standard nazionali o
internazionali per questi aspetti dell’analisi.
Il libro di Marco Ponti inizia citando l’opera dell’ingegnere francese Jules Dupuit alla metà del XIX secolo.
Riguardo
al dibattito sui megaprogetti, due intuizioni di Dupuit sembrano degne
di nota: prima di tutto suggerì di considerare il valore aggiunto che un
progetto relativo ai trasporti può generare in tutti i mercati
interessati. Ciò implica che il tradizionale approccio costi-benefici,
se limitato al valore generato all’interno del mercato dei trasporti,
potrebbe essere eccessivamente circoscritto e che bisognerebbe tener
conto degli impatti economici più ampi. Tuttavia Dupuit si oppose
fermamente alla visione di Léon Walras, secondo cui occorre considerare
le infrastrutture di trasporto come un «bene pubblico», il che
comporterebbe imporre tariffe basate sui soli costi marginali, e
finanziare il deficit che ne risulta mediante risorse pubbliche: la
presenza di costi fissi elevati e rendimenti di scala crescenti non è
infatti per Dupuit un argomento sufficiente a giustificare le
sovvenzioni pubbliche.
Bisognerebbe
invece adottare modalità di progettazione molto attente e, una volta
approvato il progetto, ogni sorta di politica fiscale e di pricing
efficace per ridurre al minimo il cofinanziamento pubblico.
Seguendo
questa logica, anche i megaprogetti motivati principalmente in base ad
argomenti di equità e di tutela dell’ambiente dovrebbero essere
sottoposti a verifiche più attente dal punto di vista della
configurazione economica ottimale per contenerne l’onere per lo Stato.
Ciò è in linea con le visioni critiche di Marco Ponti, presentate in
questo libro, sui fondamenti razionali delle politiche di investimento
nei trasporti in Italia. Sua intenzione è quella di incrementare la
trasparenza dei futuri processi di pianificazione e di finanziamento e
di dare a tutti i soggetti coinvolti informazioni imparziali su tutti
gli impatti, evitare errori di valutazione ed accrescere la fiducia
della collettività nelle politiche di investimento nei trasporti.
[1] Bent Flyvbjerg, «What You Should Know about Megaprojects and Why: An Overview», Project Management Journal, aprile-maggio 2014, 45(2), pp. 6-19.
[2] Werner Rothengatter, «Risk Management for Megaprojects», in Kai Wegrich, Genia Kostka, Gerhard Hammerschmid (eds), The Governance of Infrastructure, Hertie Governance Report, Oxford, Oxford University Press, 2017.
[3] Claus
Doll, Werner Rothengatter, Wolfgang Schade, «Results and Efficiency of
Railway Infrastructure Financing in the EU», Study for the European
Parliament, Brussels, 2015.
[4] Claus
Doll, Werner Rothengatter, Wolfgang Schade, «Results and Efficiency of
Railway Infrastructure Financing in the EU», Study for the European
Parliament, Brussels, 2015.
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