di Laura Margottini | 4 novembre 2018
Siamo seduti su una polveriera. Se i 270 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi – di cui 125 a elevatissima pericolosità – dell’ex impianto Eurex di riprocessamento del combustibile nucleare di Saluggia (Vercelli) fuoriuscissero dai serbatoi, causerebbero un incidente paragonabile a quello di Chernobyl del 1986. Lo attesta una lettera del 2001 a firma del premio Nobel per la Fisica e senatore a vita Carlo Rubbia, che certifica il grave rischio che perdurerà finché quei liquidi non saranno cementificati.
Il Fatto ha ottenuto la lettera, indirizzata all’allora ministro dell’Industria Enrico Letta. Non è mai stata divulgata: “Le perdite di radioattività nel fiume causerebbero gravissime contaminazioni in vaste regioni adiacenti al fiume Dora e Po, i terreni allagati dall’acqua contaminata sarebbero inutilizzabili per decine di anni; la contaminazione del mar Adriatico porterebbe grave pregiudizio alla popolazione, al turismo, alle alghe e al patrimonio ittico per lunghi anni; le attività agricole e industriali della Pianura padana sarebbero gravemente compromesse; vaste aree densamente popolate andrebbero evacuate; ciò nonostante, la dose collettiva (di radioattività) alla popolazione sarebbe confrontabile a quella dei maggiori incidenti nucleari della storia recente”, si legge. La popolazione sarebbe esposta a una dose di radioattività collettiva di 150 mila Sievert x uomo. Quella del dopo-Chernobyl “fu di 600 mila Sievert x uomo”, e quella a seguito dello sversamento nel 1957 “di liquidi simili nel fiume Techa (ex-Urss) fu di 15 mila Sievert per uomo”, scrive Rubbia. “Il numero di casi indotti di cancro fu 7 mila”, mentre “i danni più a lungo termine sono sconosciuti”. Il premio Nobel si basava su un’analisi qualitativa da lui condotta “e che tengo a disposizione”, ma che non è allegata alla lettera.
Eurex è stato autorizzato negli Anni 70 con una prescrizione di sicurezza cogente: solidificare i rifiuti radioattivi liquidi entro il 1982, poi prorogata dal ministero dello Sviluppo economico (Mise) al 2005. Dal 2003 è la società pubblica delegata al decommissioning del nucleare italiano, la Sogin, che gestisce Eurex. Ha ottenuto proroghe al 2010 e poi al 2019, concesse da Mise e benestare dell’autorità di controllo per la sicurezza nucleare, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) e, dal 2016, il dipartimento Isin di Ispra. Ora è attesa un’ulteriore proroga.
Dal 2010, Sogin ha indetto quattro gare per la costruzione dell’impianto di solidificazione, il Cemex. Nessuna è andata a buon fine. L’ultima è stata vinta da un consorzio capitanato da Saipem, controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, che doveva costruire Cemex entro giugno 2019 per 98 milioni di euro. Nel 2017 Sogin ha risolto il contratto con Saipem per “gravi inadempimenti” e “manifesta incapacità”. Saipem chiede 70 milioni di risarcimento a Sogin, il contenzioso è aperto.
Quando nel 1999 fu nominato direttore dell’istituto Enea, allora proprietaria di Eurex, Rubbia tentò di fissare incontri con Sogin e Anpa (l’allora ente di controllo) per mettere in sicurezza Saluggia. Non avvennero mai, si legge. Così fu costretto a scrivere a Letta pregandolo di costruire immediatamente una barriera idraulica contro le esondazioni della Dora Baltea. Nel 2000 uno straripamento aveva allagato il piazzale del sito di stoccaggio. Il rischio che una piena violenta della Dora potesse rovesciare quei serbatoi era concreto. Rubbia ottenne che in 5 mesi venisse costruita una barriera idraulica contro le esondazioni. Per questo, oggi l’area non è più considerata alluvionabile.
L’altro pericolo, per il Nobel, erano i terremoti. Saluggia è in una zona a bassa pericolosità sismica, ma il rischio non è zero. Scendere sotto lo standard della cementificazione significa esporsi a “una probabilità piccolissima, ma senza sapere esattamente quanto piccola sia, per l’accadimento di un incidente di vastissime e intollerabili proporzioni”, scriveva Rubbia.
Nel 2009, Sogin ha trasferito quei 125 metri cubi ad alta attività in una struttura bunkerizzata, il Nuovo Parco Serbatoi (Nps) che “ha consentito di migliorare i livelli di sicurezza”, ha spiegato Sogin al Fatto. Fino al 2009, tutti i 260 metri cubi erano stoccati in serbatoi costruiti 49 anni fa. Oggi contengono i rifiuti liquidi a media e bassa intensità – anch’essi molto pericolosi – e i fanghi residuali di quelli ad alta intensità. La Sogin monitora i serbatoi per vedere se ci sono eventuali perdite, ma i monitoraggi non proteggono da eventi imprevedibili. E non si sa nulla sullo stato di conservazione dei serbatoi vecchi di mezzo secolo. Rispetto al 2001, oggi si sono aggiunti nuovi fattori di rischio: eventi estremi dovuti ai cambiamenti climatici e attacchi terroristici.
“Il bunker risponde ai migliori standard internazionali per lo stoccaggio temporaneo di questi rifiuti”, spiega Sogin: serbatoi, bunker e impianto Eurex resistono a terremoti intensi fino al VII grado della scala Mercalli e all’impatto aereo, “anche di linea” (ma Sogin non rilascia i documenti che lo certificano). Lamberto Matteocci, vicedirettore di Isin, sostiene invece che sia stato testato solo per impatti con “aerei militari, non di linea”. Chi ha ragione? Nel 2003, l’allora direttore del servizio segreto Sismi, Nicolò Pollari, alla Camera, parlando di Saluggia, spiegava come quei rifiuti “meritino un’attenzione prioritaria, perché ́rappresentano un pericolo non controllabile”. Disse che i serbatoi non erano a prova di impatto con aerei di linea, ma solo militare. L’aeroporto Caselle di Torino è a poche decine di chilometri. Nonostante Sogin rassicuri, l’anno scorso Roberto Mezzanotte, ex direttore del dipartimento Nucleare, Rischio Tecnologico e Industriale di Ispra, da poco deceduto, definì Saluggia “la maggiore criticità italiana”.
In audizione al Senato il 26 settembre Francesco Ferrante, vicedirettore del Kyoto Club, ha depositato per la prima volta in Senato la lettera di Rubbia: “Ogni giorno che passa stiamo mettendo a rischio vaste aree del Paese”.
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