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giovedì 11 giugno 2020

Crisi climatica, in Italia le temperature crescono (quasi) il doppio della media globale

Tante interessanti fotografie sullo stato dell’ambiente, ma i progressi stentano: della serie “ecco tutto ciò che dovevamo fare e che non abbiamo fatto ma che speriamo di fare entro il 2030”
[3 Giugno 2020]
La cattiva notizia è che in Italia le temperature crescono più che in altre parti del mondo (+1,71° nel 2018 contro +0,98° globale). Peraltro non è una novità, perché questo trend va avanti almeno dal 2000, ovvero sono vent’anni che le temperature italiane hanno un trend in costante aumento. La buona notizia è che diminuiscono i gas serra (-17,2% dal 1990 al 2018) ma su un arco temporale molto più lungo: -17,2% dal 1990 al 2018. Inoltre, la nostra quota di energia da fonti rinnovabili è pari al 18,3% rispetto al consumo finale lordo, valore superiore all’obiettivo del 17% da raggiungere entro il 2020 (ma continuiamo a essere in forte ritardo sugli obiettivi al 2030).
Questi alcuni dei più eclatanti numeri dell’Annuario dei dati ambientali 2019 presentato stamani dall’Ispra. Quest’anno le informazioni sull’ambiente in Italia si confrontano con i recenti trend europei elaborati dall’Agenzia europea dell’ambiente e illustrati lo scorso dicembre a Bruxelles nel “SOER 2020 – State of the Environment Report”. A questi report si aggiunge un altro documento, il rapporto Ambiente di Sistema, che propone alcuni focus regionali.
I dati sono stati presentati nel corso di una diretta streaming in collegamento con il premier Giuseppe Conte, con il presidente del Parlamento europeo David Sassoli e con il ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Tanti bei discorsi, va detto, con alcune frasi ad effetto tipo quella del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «L’Europa deve prendersi la leadership dello sviluppo economico e diventare forza irradiante per tutti i continenti».
Tante interessanti fotografie sullo stato dell’ambiente, in parte già presentate, come quella sui rifiuti urbani. Tanti apparentemente stringenti obiettivi, che ad ogni piè sospinto vengono innalzati, ma che possono essere riassunti in questa che sembrerebbe un’innocua presentazione, peraltro scritta direttamente dall’Ispra. Ovvero che il SOER 2020 doveva essere ciò che avremmo dovuto raggiungere come obiettivi di miglioramento dello stato dell’ambiente e che invece oggi è stato presentato come ciò che dobbiamo fare nei prossimi 10 anni. Della serie “ecco tutto ciò che dovevamo fare e che non abbiamo fatto ma che speriamo di fare entro il 2030”. E questo nonostante ad esempio il presidente del Parlamento europeo David Sassoli abbia parlato di un mondo “sul baratro climatico”.
Sassoli da parte sua ha esordito spiegando che «la scorsa settimana abbiamo avuto al Parlamento europeo la presentazione del Recovery fund da parte della Commissione europea, sarà la possibilità di sostenere quel rilancio economico di cui abbiamo bisogno», ma «non possiamo permetterci di lasciare indietro quei programmi che a inizio della legislatura erano stati messi sul tavolo con grande ambizione”, facendo riferimento agli obiettivi a difesa dell’ambiente».
Insomma, l’ambiente un po’ ha atteso ma non dovrebbe più. Se fossimo nel 1992 all’indomani della conferenza di Rio forse queste parole avrebbero avuto un altro sapore, oggi di fronte ai numeri che ognuno può leggersi sul sito dell’Ispra, viene un po’ di sgomento. Anche perché al di là dei desiderata non ci sono azioni comuni concrete. Nessuna. Altro che leadership, solo qualche buona azione, magari perché in passato si è molto investivo con incentivi sulle rinnovabili (anche in Italia), ma che ormai sono sostanzialmente stazionarie da un quadriennio come del resto il percorso di decarbonizzazione del Paese.
Passando alla produzione di rifiuti (urbani e speciali), i dati Ispra al momento non mostrano trend diversi fino al 2018 rispetto al 2017, con la solita raccolta differenziata che non decolla e la sempre più evidente scarsità di impianti di tutti i generi – che sono sempre più concentrati al Nord – lungo tutto il ciclo integrato di gestione dei rifiuti. La novità sta nella previsione stavolta che, per quanto riguarda i soli rifiuti urbani, viene stimata per il 2019 pari a quella del 2018, mentre gli scenari al 2020 individuano un calo in linea con la diminuzione del Pil pari al 4,7%. Ovviamente per colpa del Covid-19. Un dato tutto da verificare, perché per alcune frazioni, tipo la carta, potrebbero essere invece in controtendenza a seguito della sanificazione causa Covid 19. Potrebbe poi nascondere sorprese anche la ripresa dei consumi di fine anno, almeno sul piano di che cosa verrà consumato e quindi che cosa diverrà rifiuto. Per non parlare, ma questi sono rifiuti speciali, dell’impatto sui dati e sull’ambiente del kit anti contagio, a partire dai milioni di mascherine che dovranno essere tra l’altro, su indicazioni delle autorità competenti, essere prioritariamente avviate al recupero energetico (termovalorizzatori) o in discarica.
Da segnalare poi che in base alle elaborazioni del SOER 2020, solo 2 dei 14 indicatori utilizzati per monitorare il ‘capitale naturale’ – l’insieme delle risorse naturali essenziali per lo sviluppo del Paese, in termini economici e sociali – mostrano andamenti auspicabili per l’Europa: solo le aree protette sono in buono stato, sia terrestri che marine, mentre va male la tutela della flora, fauna, degli ecosistemi e del suolo.
Per quanto riguarda il nostro Paese, con le sue 60 mila specie animali e 12 mila vegetali, l’Italia è uno dei più ricchi di biodiversità in Europa e con livelli elevatissimi di endemismo (specie esclusive del nostro territorio). Un patrimonio che vede alti livelli di minaccia per flora e fauna. Forte argine al degrado sono la Rete Natura 2000 e il Sistema delle aree protette italiane: quelle terrestri sono 843 e coprono il 10,5% del territorio nazionale, 29 le aree marine protette, 2.613 i siti della Rete Natura 2000 (19,3% del territorio nazionale). Quanto allo stato di salute della fauna in Italia, tra i vertebrati sono i pesci d’acqua dolce quelli più minacciati (48%), seguiti dagli anfibi (36%) e dai mammiferi (23%). Tra le piante più tutelate dalle norme UE, il 42% è a rischio. Le minacce più gravi vengono, però, dal costante aumento delle specie esotiche introdotte in Italia – più di 3300 nell’ultimo secolo – dal degrado, dall’inquinamento e dalla frammentazione del territorio.
C’è poi anche il consumo di suolo a gravare sulla perdita di biodiversità: dal 2018 ha ripreso a crescere ed è stato sottratto anche il 2% delle aree protette. Senza dimenticare che il territorio italiano, come ricorda infine l’Ispra, è fortemente esposto al dissesto idrogeologico.

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