La vendita del patrimonio edilizio pubblico sembra essere diventata l’occupazione prevalente degli amministratori. È un patrimonio che la collettività eredita dal passato, organizzato e stratificato sulla base dell’operosità delle comunità, nel quale queste si riconoscono e sul quale fondano lo spessore e la consapevolezza storica della propria convivenza.
Con grande impudenza, ministri e amministratori locali fanno a gara nel cercare di sbarazzarsene, nel più totale disinteresse del suo portato storico e sociale. Si mostrano pertanto indifferenti alle sollecitazioni espresse dai cittadini, dal mondo della cultura e dal mondo accademico per la conservazione della sua proprietà pubblica, per la tutela, il recupero e la riattivazione funzionale del patrimonio in chiave storica e culturale.
Cultural Real Estate è l’espressione che la neolingua del consumo totalitario ha coniato per individuare il saccheggio del patrimonio storico e la sua trasformazione nel principio motore di una nuova fase di rilancio della redditività immobiliare ed economica.
La Toscana è terra di eccellenza della privatizzazione del patrimonio pubblico, per di più in una regione, ironia della sorte, il cui presidente ama definirsi socialista, esponendosi però alla pubblica ilarità.Non stiamo a ricordare la recente vendita della tenuta medicea di Cafaggiolo, la desertificazione patrimoniale di Firenze e di tante altre belle città e luoghi, di tanti ambiti del paesaggio storico ormai sottratti alla pubblica fruizione.
Non siamo di fronte a un monumento, ma, come sostiene il prof. Vannini, siamo di fronte ad un vero e proprio “ecosistema culturale”, un’autentica struttura della società fiorentina nel suo Medio Evo maturo. È uno di quei capisaldi intorno al quale si struttura il territorio che da Pontassieve e Bagno a Ripoli arriva a Firenze. Si tratta di una rete di manifatture che collega le Gualchiere di Remole con quelle di Quintole, del Girone, di Rovezzano e del Mulino Galleggiante, sino a Firenze. Tale intima relazione strutturale è suggellata anche dal fatto che i fondi per la costruzione della cupola del Brunelleschi maturano proprio in questo ambito territoriale ad opera della corporazione dell’Arte della Lana.
È la fiera dell’incultura storica, del provincialismo e della sottomissione al deus ex machina salvifico, invocato ma per fortuna ancora latitante.
Cittadini, comitati e associazioni, con grande senso di responsabilità e in maniera provocatoria, hanno partecipato alla recente asta con la quale le Gualchiere sono state messe in vendita, offrendo simbolicamente un euro affinché la proprietà restasse pubblica, ma la proposta è stata snobbata e non accettata dall’amministrazione comunale che comunque preferisce dilapidare un patrimonio di 55 milioni per la realizzazione di un ponte in acciaio a Vallina, a pochi chilometri di distanza, invece di restaurare le Gualchiere.
Cittadini, comitati e associazioni, con grande senso di responsabilità e in maniera provocatoria, hanno partecipato alla recente asta con la quale le Gualchiere sono state messe in vendita, offrendo simbolicamente un euro affinché la proprietà restasse pubblica, ma la proposta è stata snobbata e non accettata dall’amministrazione comunale che comunque preferisce dilapidare un patrimonio di 55 milioni per la realizzazione di un ponte in acciaio a Vallina, a pochi chilometri di distanza, invece di restaurare le Gualchiere.
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, e questo caso lo dimostra ampiamente.
A questo punto ci chiediamo se la convergenza dei comportamenti manifestata dai decisori non sia un caso, o invece possa essere determinata dalla loro insipienza, inesperienza, corruzione, da tutte queste cose assieme o da qualcos’altro.
Certo il taglio dei trasferimenti agli enti locali è un fattore che condiziona, con ingiustificabile miopia dicono che “mancano i soldi e dobbiamo vendere per rimpinguare le magre casse comunali”. Ma il tutto, forse anche in maniera inconsapevole, si inscrive in quello che è diventato lo spirito del nostro tempo, ampiamente dominato dalla incultura neoliberista e che sembra essere diventato una prima natura dell’umanità. Il progetto neoliberista, altamente compatibile con la degenerazione corruttiva e mafiosa dei rapporti, investe la civiltà nel suo complesso. Tende a presentarsi come l’unica forma possibile di interazione tra gli esseri umani distruggendo l’autonomia delle sfere della cultura, della scienza, dell’arte, della religione e della politica e ponendosi quindi come l’unico paradigma possibile.
La politica attuale nelle sue varie espressioni formalizzate, compresi gli atti degli amministratori locali, è un potente artefice della costruzione neoliberista della nostra società.
La politica che verrà avrà il compito di liberare il campo dalle metastasi economicistiche, dalla logica del do ut des che intossica i rapporti, dai tentativi di distruzione e di banalizzazione della nostra storia, del nostro territorio e del nostro ambiente per impedirne il saccheggio e affermare progetti costruttivi di nuove possibili relazioni ed equilibri tra gli uomini, il loro ambiente di vita e il loro passato.
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*Antonio Fiorentino
Antonio Fiorentino
Architetto, vive e lavora tra Pistoia e Firenze dove rischia la pelle girando in bici tra bus, auto e cantieri. E’ un esponente del Gruppo Urbanistica di perUnaltracittà di Firenze, partecipa alle attività di Comitati di Cittadini e Associazioni ambientaliste.
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