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lunedì 29 febbraio 2016

I boschi e le foreste: “nuovi” pericoli

Le funzioni degli ecosistemi boschivi e forestali.
Pericoli di impoverimento per boschi e foreste derivanti da potenziali gestioni estensive e parametri economici utilitaristici.
Quanto sopra è tratto da un articolo scientifico (Gellini, Onnis) del 1992 (1) che illumina su due aspetti fondamentali dell’ecosistema bosco: circa l’importanza del suo ruolo ambientale diversificato e, di contro, della prevalente ottusa considerazione utilitaristica e distruttiva da parte della società economica, parzialmente giustificata da livelli inferiori di conoscenze naturalistiche in epoche trascorse. In merito a quest’ultima considerazione, comunque e nonostante già nel settecento e nei primi dell’ottocento gli studiosi e i politici più illuminati indicassero il disboscamento come un’operazione deplorevole, come puntualizza nell’articolo sopra segnalato il citato B. Vecchio (2) in una trattazione sulla coltivazione, conservazione e fruizione economica dei boschi in Italia del 1974: nel suo lavoro il ricercatore annota anche il famoso naturalista Giovanni Targioni Tozzetti (3) tra gli autori che sostenevano il ruolo insostituibile svolto dai boschi per gli equilibri naturali, con una visione ecologica delle funzioni attribuite alla copertura boschiva già nel 1751!
Giova riportare ancora qualche contenuto di un lavoro datato dello scomparso prematuramente, e largamente compianto, Romano Gellini (4) che ha saputo individuare con ampio anticipo tanti problemi, derivanti dalle attività umane, nei confronti degli ecosistemi naturali. Gellini espone in quella pubblicazione (1990, ovvero 26 anni fa!) dei cambiamenti in 15 anni nei caratteri delle chiome degli alberi legate ai mutamenti del clima in escalation e/o all’inquinamento, ma oltre a questo e alla vulnerabilità di 450 specie vegetali censite in quel momento dalla Società Botanica Italiana, indica la possibilità che venga intaccato il complesso meccanismo di funzionamento dell’ecosistema forestale. Gellini sottolinea che <>.
Se anni addietro mancavano migliori conoscenze scientifiche, oppure queste erano maggiormente circoscritte a pochi eletti e quindi vi erano minori cultura e sensibilità diffuse, oggi non è più plausibile che vengano meno comportamenti corretti in senso ambientale-ecologico. A maggior ragione, in un periodo storico afflitto da uno dei più gravi problemi odierni come i mutamenti del clima. Mutamenti largamente dibattuti ma per i quali sono stati sostanzialmente disattesi, o in ritardo nella loro considerazione e ipotesi di applicazione, i rimedi necessari e, quindi, adesso siamo a dover parlare solo di contenimento degli effetti conseguenti noti ed in previsione. Per questo stupisce e preoccupa profondamente che corporazioni o settori di esse disconoscano, completamente o parzialmente, questi problemi per rilanciare o amplificare fini esclusivamente o prevalentemente economici derivanti dall’incremento d’intervento sulle realtà boschive residue esistenti.
Lo scorso 14 gennaio, per esempio, si è svolto il convegno “Economia del bosco e politiche forestali in Toscana”, organizzato dalla Confederazione italiana agricoltori Cia e Associazione regionale boscaioli Toscana Arbo, presso la sede del Comando Regionale del Corpo Forestale dello Stato. Di tale convegno ne è stato pubblicato il resoconto in internet (5) assieme anche, in altro link, all’intervista al tg3 regionale toscano del presidente Cia Luca Brunelli. Gli argomenti sono riassunti nei titoli e sottotitoli: “Il bosco toscano produce economia. Ma burocrazia e politiche disattente frenano crescita”, ed ancora: “Economia del bosco a due velocità in Toscana. Da una parte investimenti, innovazione e risorse; dall’altra una mancanza atavica di politiche di sviluppo in ambito forestale, sia a livello europeo che nazionale”. E questo nonostante che nel convegno si riconosca proprio da parte della Cia che gli ultimi anni hanno mostrato una decisa crescita del settore (e basta osservare, per chi non è disattento, quanto si interviene progressivamente negli ultimi anni per esempio sui boschi cedui nella regione). Di seguito citiamo testualmente (5) alcuni passaggi dell’articolo e di quanto hanno dichiarato vari relatori che confermano le preoccupazioni sopra descritte (oltre legittime osservazioni ad es. contro il lavoro nero), anche a fronte di quelle specifiche ripercussioni che sia l’agricoltura sia gli ecosistemi naturali e le economie collegate subiscono in progressione dai cambiamenti del clima e che dovrebbero essere tenuti in primaria considerazione proprio in ambito Cia. Nel resoconto viene riportato: <> Luca Brunelli (presidente Cia Toscana): <> Sandro Orlandini (Cia Pistoia) : <> Marco Failoni (Cia Toscana): <>.
Fortunatamente e significativamente Giuseppe Vadalà, Comandante regionale Corpo Forestale dello Stato, ha posto l’accento sull’importanza dei controlli di legalità nel settore forestale, indicando che «Mediamente il Corpo Forestale dello Stato esegue in Toscana 4.000 controlli all’anno nel settore dei tagli boschivi, dove un intervento su quattro risulta irregolare e viene sanzionato. Assicurare il rispetto della legalità è fondamentale per lo sviluppo dell’economia forestale>>.
Dall’assessore regionale all’agricoltura e foreste Marco Remaschi indicazioni sia per le funzioni ecologiche del bosco che per l’economia, lasciando varie perplessità su quali delle due si vuole tutelare adeguatamente: <>.
Quanto sopra anche in contrasto all’evidenza della pressante necessità odierna di accumulo e immagazzinamento naturale del carbonio nelle biomasse, evitando parallelamente di reimmetterlo in atmosfera, ed a fronte della realtà recente che ha visto in alcuni comuni (es. in Lucchesia) avviare disposizioni di divieto dell’uso persino di caminetti o riscaldamento a legna ove questi non risultino unici sistemi di riscaldamento (per contenere l’inquinamento atmosferico locale, eccetera).
Ancora sinergicamente ad una situazione negativa, emergono nei media valutazioni partigiane, da ritenere non conformi alle esigenze ecologiche odierne: tra queste il fatto che i boschi in Toscana sono molto estesi (tanto, secondo alcuni, da giustificare quindi interventi di sfruttamento), per oltre il 50% della superficie regionale, cosa di per se stessa non significativa e/o giustificativa considerando il fatto che molti di questi sono degradati o cedui (ovvero soggetti a tagli periodici frequenti che mediamente ne diminuiscono le funzionalità e gli equilibri, cosa per la quale la ricerca indica da tempo che sarebbe opportuno portarli allo stato di fustaie (8), con un accumulo di capitale arboreo ed immagazzinamento di carbonio e diradamento degli interventi nel tempo per il mantenimento massimo delle funzionalità) e senza tener conto del bilancio nazionale (ed internazionale ovvero mondiale) largamente in perdita dell’ “impronta ecologica”. Nel “Documento sulle utilizzazioni forestali” della Società Botanica Italiana del 1989 (8), si appunta: <>. Nello stesso documento (8)  si annotano in 5 punti alcune situazioni nuove ed importanti da considerare a 9 anni di distanza dal Seminario sulle utilizzazioni forestali organizzato dalla S.B.I. e per le quali la stessa Società vuole prendere una più chiara posizione: <>. Di seguito si continua: <>. Con questa illuminata critica alla ricerca di sfruttamento economico, la S.B.I. prende una posizione ancora più chiara e netta rispetto a quanto espresso in precedenti convegni: <>. Nel documento la S.B.I esprime poi che nelle aree protette non si debbano effettuare utilizzazioni forestali di tipo tradizionale, e quindi favorevolmente: alla realizzazione di piantagioni per fini energetici purché con stime progettuali congrue ed attendibili sulla filiera, alla ripresa del rimboschimento.
Un altro autorevole e limpido parere tecnico sugli aspetti gestionali dei boschi (7) è contenuto nell’articolo dal titolo significativo “Povertà del bosco ceduo” di Fabio Clauser (già amministratore delle Foreste di Vallombrosa): <>. Clauser indica che i motivi della povertà del ceduo che tuttora perdura, sono gravi e complessi e possono ricondursi o ad una produttività tecnico-economica (9) riferita alla sola produzione legnosa (De Philippis), oppure ad una produttività biologica (10) (Giacomini) che ha un significato ampio a comprendere tutti i cicli produttivi dell’ecosistema foresta, ed è questa che vuole considerare lo stesso Clauser con i suoi rapporti contingenti alla produttività economica. Clauser cita ancora Giacomini: <>. Clauser afferma (sintetizziamo), che <> e pertanto il livello più alto di selvicoltura praticabile è rappresentato dalle fustaie miste disetanee ad elevate provvigioni mentre il livello più basso è rappresentato dai cedui monospecifici a turni molto brevi. Inoltre sottolinea come sia facile passare, con un taglio radicale in brevissimo tempo, da una forma di selvicoltura complessa ad una forma semplice; di contro come sia invece difficile realizzare il processo inverso, prelevando meno di quanto l’ecosistema produce affinché le provvigioni si accrescano e questo richiede lunghe o lunghissime attese. Annotando l’erronea idea che il ceduo fosse più produttivo della fustaia, l’autore ricorda (in quel momento) anche delle negative pressioni sulla pubblica amministrazione perché con incentivi diretti o indiretti si favorisca la ripresa dei tagli o addirittura si rivedano alcune norme legislative definite di grave disturbo, in modo da poter utilizzare i cedui anche d’estate e a turni ancor più brevi di quelli minimi stabiliti dalle prescrizioni di massima. Ed in queste righe di anni addietro troviamo purtroppo qualche collegamento alle volontà odierne degli operatori di settore. Non meno importanti ancora le considerazioni di Clauser della ridotta efficienza biologica e quindi idrologica dei cedui. Quei cedui che sono invecchiati, egli scrive pertanto, sarebbe del tutto utile e conveniente convertirli a fustaie per ottenere un miglioramento durevole di tutte le funzioni che quell’ecosistema può offrire.
Proprio i dati sulla situazione tipologica odierna dei boschi toscani conferma quanto sopra: il 76% sono cedui, solamente il 18% fustaie e 6% altre forme.
Tornando ai più sopra citati pareri partigiani, sui modi eminentemente economici di coltivare il bosco, pubblicizzati in alcuni media, è utile annotare quanto emerso in relazione alla tempesta di vento che lo scorso anno causò molti danni anche per la vegetazione arborea, ovvero pareri sul fatto che il bosco coltivato/diradato porti a migliori risultati diminuendo l’entità di danni conseguenti: in tv si è intervistato un operatore del settore che mostrava un bosco diradato dove sostanzialmente non vi erano quasi stati danni; lo scrivente ha avuto modo in un convegno, pur sinteticamente (non essendo l’argomento del tema in esame) e in presenza dell’interessato, di criticare tale modo di pensare ed operare in quanto un bosco fitto si difende meglio comunque, e difende meglio, offrendo la massima opposizione al vento, ed i danni possibili appartengono ad una conseguenza naturale e normale dettata anche dal fatto che vi è maggiore biomassa in piedi; di contro, con un diradamento si tolgono, con preventivo danno ambientale, entità viventi vegetali e si tolgono preventivamente le funzioni che essi svolgono; lasciare meno piante selezionate ha come palese conseguenza anche quella di ottenere un minor numero di entità che possono subire effetti: per fare un esempio ovvio estremo, in un deserto una tempesta non abbatterebbe alcunché. Sarebbe come se un medico sacrificasse preventivamente un buon numero di pazienti per non farli ammalare! Stesse improprie valutazioni si sono avute in occasioni passate di forti nevicate, con neve bagnata e pesante, che hanno portato conseguenze in alberature: questi alberi fino a che ci sono stati hanno assolto a funzioni inestimabili ed un evento eccezionale non deve dare indicazioni anomale se non, nell'ipotesi ove occorra (per es. in ambito urbano) a migliorie di selezione tipologica e logistica. Inoltre la scopertura dovuta ai diradamenti dei soprassuoli determina un minor accumulo fogliaceo con minore immagazzinamento carbonio e minore possibilità di assorbimento/trattenimento delle acque meteoriche e, per queste ultime, maggiore facilità di dilavamento del suolo e della coltre organica e quindi una facilitata maggiore aggressività degli agenti e situazioni meteo che possono influenzare l’ecosistema: oltre l’erosione dei suoli (con effetti anche a distanza come interramento di corsi e specchi d’acqua) al veloce disseccamento, in periodi molto caldi e siccitosi (come verificato in anni particolarmente critici come sono stati ad esempio il 2003 e il 2004, eccetera), dei terreni scoperti con danni diretti ai soprassuoli residui e danni successivi all’ecosistema intero.
Ma vediamo meglio quali sono alcune delle principali funzioni dell’ecosistema bosco o foresta o di piantumazioni collocate appositamente per scopi specifici. Volutamente ancora andiamo ad utilizzare articoli scientifici non recenti, a dimostrazione di quanto è ben conosciuto e divulgato da tempo e di quanto oscurantismo appartiene ancora interessatamente al mondo economico e politico: nel già citato “Attività della S.B.I in difesa del bosco e della dendroflora” di Gellini e Onnis (1) e ancora, precedentemente nel 1984 (6), quattro ricercatori (Gellini, Brogi, Grossoni, Bussotti) espongono delle funzioni e organizzazione del verde per un convegno di Italia Nostra dedicato a Firenze, sottolineando l’importanza degli alberi come fattore di riequilibrio nell’ambiente urbano degradato. Annotando della funzione igienico-sanitaria, oltre l’estetico-ricreativa, elencano e definiscono quanto riguarda l’ecologia della vegetazione (arborea e non arborea) anche oltre i confini urbani: produzione di ossigeno e fissazione di carbonio attraverso la funzione clorofilliana, depurazione dell’atmosfera (attraverso l’intercettazione delle polveri, dei gas tossici, dei metalli pesanti, contaminazione radioattiva), depurazione biologica (attività antibatterica o antimicrobica), indicatori biologici (in Gellini et al., 1984), riduzione del rumore, depurazione delle acque, influenza sul clima e riduzione degli estremi termici (a scala locale e generale, utili termoregolazione attraverso la traspirazione in estate e opposizione al vento in inverno, anche con risparmi energetici degli insediamenti protetti), funzione idrogeologica ovvero protezione del suolo (da dilavamento, da frane) e regimazione delle acque (occorre specificare la molteplicità di questi positivi effetti positivi conseguenti ad una copertura arborea fitta:  la coltre di materiale fogliaceo in decomposizione costituisce un effetto spugna che assorbe le acque meteoriche rallentandone l’arrivo a valle e permettendo l’alimentazione lenta e costante delle falde acquifere, inoltre costituisce un “volano” di conservazione dell’umidità in periodi siccitosi, permettendo il superamento di periodi critici, e sempre a fronte della penombra della copertura di chioma di cui gode). E’ possibile specificare inoltre che, pur attribuendo alla traspirazione della vegetazione un contributo alla formazione delle nebbie, le piantumazioni sempreverdi lungo ogni arteria stradale e autostradale assolvono alla diminuzione dell’effetto nebbia attraverso l’intercettazione fisica delle particelle di acqua e attraverso l’eliminazione parziale del “muro bianco” dovuto ai profili individuabili dei filari che orientano gli autisti; e le piantumazioni arboree lungo le strade assolvono parallelamente alla diminuzione del rumore e del vento, alla protezione dei pedoni ove insistono camminamenti e marciapiedi, assorbono gli inquinanti, producono ossigeno, fissano carbonio, eccetera come sopra citato, migliorano l’estetica paesistica, producono biomassa utilizzabile da manutenzione periodica leggera. Nelle pubblicazioni non si dimenticano anche le diversificate funzioni produttive-economiche-sociali-ecologiche, che sono legate, oltre quelle relative alla produzione di legname, ai frutti del sottobosco, funghi, tartufi, resine, terricci e quindi alle attività ricreative e turistiche, contemporaneamente alle superiori difesa e conservazione del patrimonio genetico e della sua diversità, habitat specializzato per particolari biocenosi e punti di partenza per catene trofiche.
In definitiva alla preponderante estensione degli ecosistemi forestali-boschivi allo stato naturale, o in una gestione che minimizzi le conseguenze da interventi economici, e ad una adeguata presenza di vegetazione, arborea e non, negli ambienti antropizzati, si deve un equilibrio insostituibile di carattere ecologico-ambientale-sociale. Non è possibile fare a meno di legare questi concetti alla verifica critica della produttività economica tradizionale, colpevole di una fabbricazione di massa di “usa e getta”: brevi cicli vitali e senza valore ed utilità intrinseci di una moltitudine di prodotti che sono alla base di spreco di energia, materie prime, rifiuti, inquinamento. Le alternative passano obbligatoriamente per cambiamenti sostanziali nei parametri economici che riconsiderino valori, funzionalità, obbiettivi. Per la tutela degli ecosistemi boschivi e forestali si auspica una maggiore estensione a conduzione naturale e una maggiore estensione con conversione in fustaie, maggiore rimboschimento (in Toscana le pianure ospitano solo il 2% del patrimonio boschivo), piantumazioni con funzioni specifiche diversificate ove mancano e coltivazioni specifiche a crescita rapida finalizzate a biomasse di uso diversificato, comprendendo anche il recupero di biomasse dall’agricoltura.
Preoccupa, di contro, il riaffiorare di appetiti economici che si speravano scongiurati anche dalle nuove emergenze ambientali, sintomi di pericoloso regresso. Concludiamo ricordando che l’ignoranza ed il sonno (naturale conseguenza dell’ignoranza o provocato volutamente per interesse ed egoismo) della ragione, “genera mostri”. 

Leonardo Mastragostino

R. Gellini (Dipartimento di Biologia Vegetale, Laboratorio di Botanica Forestale, Università di Firenze), A. Onnis (Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agro-ecosistema, Università di Pisa), “Attività della Società Botanica Italiana in difesa del bosco e della dendroflora”; dattiloscritto cf. con “La difesa del bosco e della dendroflora”, in: La Società Botanica Italiana per la protezione della natura, a cura di Pedrotti F., Dipartimento Botanico ed Ecologia, Università di Camerino. L’uomo e l’ambiente, 14: 84-100, 1992 (in coll. con A. Onnis).
Vecchio B., 1974, “Il bosco negli scrittori italiani del settecento e dell’età napoleonica”, pp. VII-283, G. Einaudi Ed., Torino.
Targioni Tozzetti G., 1751-1776, “Relazioni d‘alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa”, prima edizione Firenze 1751, T. 6; seconda edizione Firenze 1776, T. 12.
R. Gellini (Laboratorio di Botanica Forestale, Dipartimento di Biologia Vegetale, Università di Firenze); “Modificazioni indotte nelle piante da possibili variazioni climatiche”, Informatore Botanico Italiano Vol. 22, n. 3: 206-2011, 1990.
Cia Confederazione italiana agricoltori, Aiel Associazione italiana energie agroforestali;http://www.ciatoscana.eu › Home › Aiel; “Il bosco toscano produce economia. Ma burocrazia e politiche disattente frenano crescita”; 14 gennaio 2016 (convegno presso il Comando regionale del Corpo Forestale dello Stato).
Gellini R., Brogi L., Grossoni P., Bussotti F., “Funzioni e organizzazione del verde”; in “Il verde a Firenze. problemi e prospettive”; Italia Nostra 27.03.1984.
Clauser Fabio (ex amministratore Foreste di Vallombrosa), “Povertà del bosco ceduo”, anno ?.
Società Botanica Italiana, “Documento sulle utilizzazioni forestali”, approvato in data 6 aprile 1989.
De Philippis A., “La selvicoltura di fronte al crescente fabbisogno di prodotti legnosi”, Annali Accademia Italiana di Scienze Forestali XVI 1967 pag. 23.
Giacomini V., “Equilibri biologici e produttività biologica delle foreste”, Annali Accademia Italiana di Scienze Forestali XIII 1964 pag. 27.

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